Corriere della Sera

«Lui ripeteva: ucciderò Michela I loro amici hanno taciuto, non deve succedere mai più»

Firenze, la battaglia dei genitori per introdurre il «concorso morale»

- Jacopo Storni

FIRENZE L’ultima volta che ha visto sua figlia è stata sul pianerotto­lo di casa. «Le dissi di non scendere, avevo paura che potesse essere pericoloso, lei però scese comunque, aveva perfino lasciato il cellulare sul letto, mi abbracciò come faceva ogni volta, disse che sarebbe tornata dopo cinque minuti», ricorda la signora Paola. Michela Noli, sua figlia, invece non è più tornata. Quella sera salì sull’auto del marito dal quale stava divorziand­o, lui la portò sull’argine dell’Arno e la uccise con 47 coltellate. Poi Mattia Di Teodoro si tolse la vita.

Sono passati sei anni da quel tragico 15 maggio. Il ricordo di Michela vive ancora in questa casa, nel quartiere Isolotto di Firenze. Sotto il cuscino di Michela c’è ancora il suo pigiama. Il piumone è sempre lì, bianco con i fiori neri. Anche la coperta con i cuori bianchi è sempre lì. E poi i cinque peluche, soprattutt­o gatti. La camera di Michela è rimasta uguale. Tutto è al suo posto, come se quella sera fosse uscita e poi rientrata a casa, come se quel letto la stesse ancora aspettando per la notte. Invece no, a soli 31 anni Michela è stata vittima di femminicid­io.

Da giorni il marito la tormentava, non accettava la sua decisione di lasciarlo. Agli amici aveva mandato messaggi agghiaccia­nti: «La riempio di pugnalate al cuore e poi mi pianto il coltello in gola». Tutti gli hanno dato poco peso. Ed è proprio questo ciò che fa più male a Paola e Massimo, i genitori di Michela. «Gli amici e i genitori di Mattia sapevano quello che aveva in mente, ma hanno taciuto sottovalut­ando le sue parole e quei messaggi. Michela poteva salvarsi se qualcuno avesse parlato».

Ecco perché adesso combattono la loro battaglia: quella per una legge che punisca chi sa ma tace, chi omette di riferire l’esistenza di un rischio concreto. «Chiediamo che sia introdotta una causa tipica di concorso morale nel reato di omicidio, penalmente rilevante. Potrebbe scongiurar­e molti omicidi di cui troppo spesso sono vittime le donne». Alla proposta di legge stanno lavorando le parlamenta­ri Piera Aiello (Gruppo Misto), Lucia Azzolina e Stefania Ascari (M5S). Partirà a breve anche una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare. «Questa battaglia ci dà la forza di vivere», dicono i genitori. In tutte le stanze della casa c’è un ritratto di Michela, sono i disegni di mamma Paola, dipinge per esorcizzar­e il dolore. «Michela è ancora insieme a noi, ci guarda da ogni angolo». Vive nei ricordi di una vita. «Quando aveva due anni l’addormenta­vo cullandola con le canzoni dei Genesis, proprio qui, in questa stanza». Il padre si commuove. È musicista, come sua moglie. Cantano insieme nei circoli da ballo. Nome d’arte Max e Paula. Quando cantano si guardano, nei loro occhi c’è il riflesso di Michela. Si amano ancora, forse adesso più di prima. «Quando Michela aveva tre anni, al ritorno da una serata, portammo con noi Michela al mare, nella nostra casa, senza svegliarla. Al mattino fu così felice di questa sorpresa».

Sul portone di casa, ecco le calamite che portava dai suoi viaggi: un surf dalle Maldive, un asino dalla Sardegna, un boomerang dall’Australia, dove era stata in viaggio di nozze. Poi la calamita di Edimburgo, dove aveva festeggiat­o i 30 anni con la madre. Era una persona semplice, Michela, aveva imparato dai suoi genitori, così lievi e al contempo combattent­i. Ora lottano per salvare altre vite. E cantano. In salotto c’è una tastiera, una chitarra, l’angolo bar come fosse una discoteca. Perfino le luci psichedeli­che. E quella canzone scritta per lei dalla madre, e dalla madre cantata: «So che stasera tornerai, come sempre, e quella porta aprirai ed entrerà l’amore».

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Ricordo Paola e Massimo mostrano un ritratto di Michela, la loro figlia uccisa sei anni fa

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