Corriere della Sera

BELARDA INSEGNAVA AL DUCE E PANATTA LEGGEVA L’UNITÀ

-

Caro Aldo,

la memoria è corta. Fra le tante rievocazio­ni dell’affermazio­ne dell’Italia alla Coppa Davis del 1976, mai, salvo distrazion­i, una citazione del direttore tecnico di quella squadra, Mario Belardinel­li, l’uomo che aveva accompagna­to la crescita dei vari Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli…

Augusto Frasca

Caro Augusto,

Ame pare invece che Adriano Panatta ricordi Mario Belardinel­li a ogni occasione. Ad esempio gli ha dedicato pagine molto belle della sua deliziosa autobiogra­fia Più dritti che rovesci (Rizzoli): «Belardinel­li aveva per me un affetto profondo. Ricambiato. Infinitame­nte ricambiato… Lo sentivo come un secondo padre, il papà Belarda,

una persona cui affidarsi in tutti i momenti, un uomo che sarebbe stato sempre al mio fianco, come poi fece, soffrendo in un angolo come solo lui riusciva a fare quando in campo c’ero io».

Belardinel­li aveva giocato a tennis con Mussolini («Sono stato il maestro del Duce!»), raccontava aneddoti al riguardo forse inventati — «Duce, vogliamo provare il rovescio?»; «Camerata Belardinel­li, noi tireremo sempre dritto!» — e non aveva cambiato idee politiche. Panatta era ed è di sinistra (un’eccezione nel mondo dello sport). Per fare arrabbiare Belardinel­li, si divertiva ad arrivare in ritiro a Formia con l’Unità o il Manifesto, o a chiacchier­are a voce alta quando a Tribuna politica parlava Almirante, che «Belarda» pretendeva di ascoltare in religioso silenzio. Appassiona­to di cavalli, scommettev­a, ma non voleva che i suoi allievi entrassero in contatto con i bookmaker e rischiasse­ro di contrarre il vizio: «Così fissava un limite alle giocate, ritirava le nostre puntate e scendeva lui a giocare — scrive Panatta —. Poi, se vincevamo, ci girava i guadagni. Se perdevamo, ci restituiva i nostri soldi». Quando poi i suoi ragazzi arrivarono in finale di Coppa Davis, lui consentì alle mogli di seguirli, ma impose camere separate. «Noi lo accontenta­vamo, gli dicevamo di sì, poi ovviamente di notte traslocava­mo nelle stanze delle signore. Facevamo così per non turbarlo, per dargli ragione, e sapevamo che lui immaginava i nostri traffici notturni. Ma, sia pure con qualche finzione, gli facevamo capire che la sua autorità non era in discussion­e; e lui questo lo apprezzava moltissimo».

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy