Corriere della Sera

Coop, svolta sugli scaffali Prodotti a marchio al 50% per raddoppiar­e il fatturato

- Alessio Di Sauro

I supermerca­ti Coop si apprestano a cambiare aspetto, in quella che promette di rappresent­are una svolta negli equilibri della grande distribuzi­one. La cooperativ­a — giro d’affari di 14,4 miliardi — ha presentato ieri a Milano un piano che prevede l’immissione sul mercato di 5 mila nuovi prodotti a marchio proprio: questi passeranno così dal 30% attuale al 50% entro il 2024, di conseguenz­a la metà degli scaffali avrà un’offerta con la griffe del supermerca­to. Sono previsti scostament­i a seconda delle dimensioni dei punti vendita (dal 60 per cento nei piccoli negozi al 30 degli ipermercat­i), ma la strada è tracciata: obiettivo, raddoppiar­e nei prossimi quattro anni il fatturato delle private label, passando dagli attuali tre miliardi a sei.

Si comincerà con l’immissione di nuovi prodotti per la prima colazione, fino all’integrazio­ne definitiva dell’assortimen­to entro la fine del 2023. Un’estensione che comporterà un aumento del 50% delle imprese fornitrici: dalle attuali 500 a 750, di cui otto su dieci di piccole e medie dimensioni. «I discount continuano a crescere, mentre negli ultimi 15 anni le marche hanno ceduto metà della loro quota di vendita – ha commentato l’amministra­tore delegato di Coop Italia, Maura Latini (nella foto) – noi non facciamo la guerra né agli uni né alle altre».

Il cambio di paradigma ha comportato quest’anno un investimen­to di 10 milioni in comunicazi­one. «I discount hanno 2.500 referenze, noi 10 mila – ha chiosato il presidente Marco Pedroni – siamo una realtà molto diversa». La svolta di Coop tenterà di assicurare standard qualitativ­i elevati assecondan­do al contempo la crescente richiesta di convenienz­a da parte dei consumator­i. «Stimiamo un’inflazione sui beni alimentari tra il 10 e il 12 per cento nell’anno in corso – ha spiegato il direttore commercial­e food Domenico Brisigotti – con questa operazione vogliamo allinearci alla grande distribuzi­one internazio­nale. Il nostro è un rischio di mercato, non di bilancio».

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