Banksy, genio ribelle dell’assenza che sui muri mette a nudo la realtà
Di lui non si sa quasi nulla, ma i suoi lavori toccano quotazioni record E manipolando le logiche del mercato smaschera le sue contraddizioni
Banksy è un fantasma, è come Greta Garbo: un caso esemplare di una notorietà costruita sull’assenza (tra i suoi massimi estimatori-compratori c’è stata comunque anche la ex-coppia supervip Angelina JolieBrad Pitt). Di lui si sa solo che potrebbe essere nato a Bristol, nel Sudovest dell’Inghilterra, forse nel 1974. Un maestro senza volto: anche se qualcuno lo identifica di volta in volta con Robert Cunningham, già studente della Bristol Cathedral Choir School, o con Robert Del Naja, musicista e performer dei Massive Attack.
Una griffe dell’arte contemporanea capace di raggiungere quotazioni iperboliche: questo è Banksy con i suoi 11,1 milioni di euro pagati nel 2019 da Sotheby’s a Londra per il grande dipinto a olio Devolved Parliament (un Parlamento con gli scimpanzé al posto dei deputati del Regno Unito). Costantemente (e volutamente) sospeso tra gesti estremi (la distruzione in diretta dopo l’ennesima quotazione
record della sua Girl with Balloon, «l’opera d’arte contemporanea più amata in Gran Bretagna») e ricerca ossessiva di una «non-visibilità» capace di creare attenzione su ogni sua nuova opera.
La monografia firmata da Flaminio Gualdoni, in uscita oggi con il «Corriere», mette in scena di fatto la vita, l’opera e le idee dell’artista più discusso degli ultimi decenni. E quel suo controverso rapporto col mercato «al tempo stesso irridente, distante, ostile eppure tutto interno a una logica di marketing che si è dimostrata tra le più efficaci mai sperimentate». In un’apparente contraddizione tra adesione e critica feroce del mercato stesso che, secondo quanto ha affermato lo stesso Banksy, lo obbliga a definire tutte le sue mostre «100% non autorizzate, 100% organizzate senza il suo coinvolgimento».
Abile manipolatore dei codici comunicativi della cultura di massa, Banksy ha scelto come tematiche centrali delle sue opere (realizzate all’inizio con la tecnica dei graffiti a mano, poi con quella dello stencil che gli consente una maggiore rapidità di esecuzione) la condanna delle atrocità della guerra, dell’inquinamento, del maltrattamento degli animali e del consumismo. E come suoi soggetti ricorrenti (spesso portatori di
slogan) scimmie, topi, poliziotti, ironicamente assunti a soggetto-simbolo di tipologie umane ben distinguibili, ma anche membri della famiglia reale, gatti e bambini.
La reale identità di Banksy (che nel 2010 ha ricevuto una nomination all’Oscar per il documentario Exit Through the Gift Shop) non è nota. Ma ancora una volta proprio questa sua assenza gli ha permesso di compiere vere azioni di guerrilla art: a cominciare dalle incursioni nei musei (nel 2005 al Metropolitan di New York, dove ha appeso il ritratto di una dama che indossa una maschera antigas), negli zoo, a Disneyland (dove nel 2006 ha introdotto una scultura raffigurante un detenuto di Guantanamo).
Perché, per quanto alieno in molti sensi, Banksy non si è mai lasciato alle spalle la realtà, per quanto sgradevole o
difficile. Documentando, ad esempio, sul luogo gli orrori dei conflitti bellici: i nove graffiti realizzati nel 2005 sul lato palestinese del muro tra Israele e Cisgiordania; l’incursione artistica nella Striscia di Gaza nel 2015, ironicamente documentata nel suo sito nella forma di un video di promozione turistica; la realizzazione nel 2017 a Betlemme del Walled-off Hotel, il boutiquehotel con vista sul muro che separa israeliani e palestinesi e decorato da sue opere.
Tra i pregi di Banksy c’è poi anche l’esser riuscito, con i suoi graffiti, a trasformare il tessuto metropolitano delle città occidentali in luogo di riflessione. Come nei lavori realizzati nel 2008 sulle case distrutte di New Orleans dopo l’uragano Katrina o nel progetto del 2013 Better out than in, che prevedeva la realizzazione di un’opera al giorno in
varie zone di New York e che nello stesso anno gli è valso il Webby Awards. O ancora nel parco divertimenti aperto dall’agosto al settembre 2015 in un’area abbandonata sulla spiaggia di Weston, Inghilterra, parodia assai dark dei parchi a tema della Disney.
La storia artistica di Banksy è stata compiutamente ricostruita nel docufilm Banksy and the rise of outlaw art («Banksy e l’arte della ribellione», 2020), racconto per immagini (ma senza naturalmente la presenza fisica del protagonista) di come si possa felicemente «infrangere le
Connessioni
Unisce le radici del pop, il graffitismo anni Ottanta, i nuovi approcci del digitale
regole, smascherando i meccanismi del mercato».
Con le sue opere «di inaudita potenza etica, evocativa», Banksy rappresenta, dunque, la miglior evoluzione della Pop Art originaria (Warhol compare d’altra parte tra i suoi possibili modelli). L’unico che ha saputo mettere in connessione le migliori radici del pop, la cultura hip hop più d’avanguardia, il graffitismo anni Ottanta e i nuovi approcci del tempo digitale. In un immaginario semplice ma non elementare che racchiude messaggi «popolari» e senza tempo sui temi del capitalismo, della guerra, del controllo sociale e della libertà, «sui paradossi del nostro tempo». E che arriva direttamente al cuore delle persone, mettendo in discussione concetti «di classe» come l’unicità, l’originalità, l’autorialità.
La non-identità
Rende possibili azioni di guerrilla art come le incursioni a Disneyland e al Metropolitan