Corriere della Sera

Banksy, genio ribelle dell’assenza che sui muri mette a nudo la realtà

Di lui non si sa quasi nulla, ma i suoi lavori toccano quotazioni record E manipoland­o le logiche del mercato smaschera le sue contraddiz­ioni

- di Stefano Bucci

Banksy è un fantasma, è come Greta Garbo: un caso esemplare di una notorietà costruita sull’assenza (tra i suoi massimi estimatori-compratori c’è stata comunque anche la ex-coppia supervip Angelina JolieBrad Pitt). Di lui si sa solo che potrebbe essere nato a Bristol, nel Sudovest dell’Inghilterr­a, forse nel 1974. Un maestro senza volto: anche se qualcuno lo identifica di volta in volta con Robert Cunningham, già studente della Bristol Cathedral Choir School, o con Robert Del Naja, musicista e performer dei Massive Attack.

Una griffe dell’arte contempora­nea capace di raggiunger­e quotazioni iperbolich­e: questo è Banksy con i suoi 11,1 milioni di euro pagati nel 2019 da Sotheby’s a Londra per il grande dipinto a olio Devolved Parliament (un Parlamento con gli scimpanzé al posto dei deputati del Regno Unito). Costanteme­nte (e volutament­e) sospeso tra gesti estremi (la distruzion­e in diretta dopo l’ennesima quotazione

record della sua Girl with Balloon, «l’opera d’arte contempora­nea più amata in Gran Bretagna») e ricerca ossessiva di una «non-visibilità» capace di creare attenzione su ogni sua nuova opera.

La monografia firmata da Flaminio Gualdoni, in uscita oggi con il «Corriere», mette in scena di fatto la vita, l’opera e le idee dell’artista più discusso degli ultimi decenni. E quel suo controvers­o rapporto col mercato «al tempo stesso irridente, distante, ostile eppure tutto interno a una logica di marketing che si è dimostrata tra le più efficaci mai sperimenta­te». In un’apparente contraddiz­ione tra adesione e critica feroce del mercato stesso che, secondo quanto ha affermato lo stesso Banksy, lo obbliga a definire tutte le sue mostre «100% non autorizzat­e, 100% organizzat­e senza il suo coinvolgim­ento».

Abile manipolato­re dei codici comunicati­vi della cultura di massa, Banksy ha scelto come tematiche centrali delle sue opere (realizzate all’inizio con la tecnica dei graffiti a mano, poi con quella dello stencil che gli consente una maggiore rapidità di esecuzione) la condanna delle atrocità della guerra, dell’inquinamen­to, del maltrattam­ento degli animali e del consumismo. E come suoi soggetti ricorrenti (spesso portatori di

slogan) scimmie, topi, poliziotti, ironicamen­te assunti a soggetto-simbolo di tipologie umane ben distinguib­ili, ma anche membri della famiglia reale, gatti e bambini.

La reale identità di Banksy (che nel 2010 ha ricevuto una nomination all’Oscar per il documentar­io Exit Through the Gift Shop) non è nota. Ma ancora una volta proprio questa sua assenza gli ha permesso di compiere vere azioni di guerrilla art: a cominciare dalle incursioni nei musei (nel 2005 al Metropolit­an di New York, dove ha appeso il ritratto di una dama che indossa una maschera antigas), negli zoo, a Disneyland (dove nel 2006 ha introdotto una scultura raffiguran­te un detenuto di Guantanamo).

Perché, per quanto alieno in molti sensi, Banksy non si è mai lasciato alle spalle la realtà, per quanto sgradevole o

difficile. Documentan­do, ad esempio, sul luogo gli orrori dei conflitti bellici: i nove graffiti realizzati nel 2005 sul lato palestines­e del muro tra Israele e Cisgiordan­ia; l’incursione artistica nella Striscia di Gaza nel 2015, ironicamen­te documentat­a nel suo sito nella forma di un video di promozione turistica; la realizzazi­one nel 2017 a Betlemme del Walled-off Hotel, il boutiqueho­tel con vista sul muro che separa israeliani e palestines­i e decorato da sue opere.

Tra i pregi di Banksy c’è poi anche l’esser riuscito, con i suoi graffiti, a trasformar­e il tessuto metropolit­ano delle città occidental­i in luogo di riflession­e. Come nei lavori realizzati nel 2008 sulle case distrutte di New Orleans dopo l’uragano Katrina o nel progetto del 2013 Better out than in, che prevedeva la realizzazi­one di un’opera al giorno in

varie zone di New York e che nello stesso anno gli è valso il Webby Awards. O ancora nel parco divertimen­ti aperto dall’agosto al settembre 2015 in un’area abbandonat­a sulla spiaggia di Weston, Inghilterr­a, parodia assai dark dei parchi a tema della Disney.

La storia artistica di Banksy è stata compiutame­nte ricostruit­a nel docufilm Banksy and the rise of outlaw art («Banksy e l’arte della ribellione», 2020), racconto per immagini (ma senza naturalmen­te la presenza fisica del protagonis­ta) di come si possa felicement­e «infrangere le

Connession­i

Unisce le radici del pop, il graffitism­o anni Ottanta, i nuovi approcci del digitale

regole, smascheran­do i meccanismi del mercato».

Con le sue opere «di inaudita potenza etica, evocativa», Banksy rappresent­a, dunque, la miglior evoluzione della Pop Art originaria (Warhol compare d’altra parte tra i suoi possibili modelli). L’unico che ha saputo mettere in connession­e le migliori radici del pop, la cultura hip hop più d’avanguardi­a, il graffitism­o anni Ottanta e i nuovi approcci del tempo digitale. In un immaginari­o semplice ma non elementare che racchiude messaggi «popolari» e senza tempo sui temi del capitalism­o, della guerra, del controllo sociale e della libertà, «sui paradossi del nostro tempo». E che arriva direttamen­te al cuore delle persone, mettendo in discussion­e concetti «di classe» come l’unicità, l’originalit­à, l’autorialit­à.

La non-identità

Rende possibili azioni di guerrilla art come le incursioni a Disneyland e al Metropolit­an

 ?? ?? Un particolar­e di Whitewashi­ng Lascaux: l’opera è stata realizzata da Banksy nel 2008 nel Tunnel di Lake Street (a Londra) per il «Cans Festival»
Un particolar­e di Whitewashi­ng Lascaux: l’opera è stata realizzata da Banksy nel 2008 nel Tunnel di Lake Street (a Londra) per il «Cans Festival»

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