Corriere della Sera

Globalizza­zione, fischi, paesaggi: i dubbi su Eurovision

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Proviamo a porci qualche domanda sull’Eurovision Song Contest, visto l’entusiasmo generale che sta avvolgendo la manifestaz­ione. È vero che c’è una qualche sproporzio­ne fra l’imponente apparato produttivo Rai, dalla perfetta organizzaz­ione all’impianto scenico, e la qualità delle canzoni? È vero che Laura Pausini non sa presentare e sarebbe stato meglio invitarla solo come grande interprete? Lo spirito di ESC è attraversa­to da un sincero sentimento europeista o ci troviamo di fronte a una delle non poche manifestaz­ioni globalizza­te dove, a parte le lingue, tutto si assomiglia? (Motivo per cui mi ha molto colpito il passaggio in finale di «In corpore sano» dei serbi Konstrakta, una canzone che parla della salute mentale; davvero un corpo non so quanto sano ma certamente estraneo).

È vero che il pubblico in sala ha fischiato la Macedonia del Nord perché la loro nazionale di calcio ha fatto fuori la nostra alle qualificaz­ioni dei mondiali? Perché Achille Lauro, in quota San Marino, e Emma Muscat, in quota Maria De Filippi, sono stati eliminati? È vero che, in fondo, la sagra di paese non ci dispiace? È vero che il nuovo immaginari­o nasce da TikTok?Il fatto che quasi tutti i paesi si buttino sulla fluidità significa che la fluidità stessa sta entrando nel novero dei luoghi comuni generazion­ali? Il grande successo di Cristiano Malgioglio, un fidanzato in ogni paese, significa che è il miglior interprete dello spirito queer che anima molta parte della manifestaz­ione, all’insegna dell’eccesso, del travestime­nto, della clownerie? È vero che non ci meritiamo, intendo come italiani, il meraviglio­so paesaggio riproposto dai droni?

Ci sono paesi che hanno un quinto del nostro patrimonio storico, artistico e paesaggist­ico eppure hanno una cultura dell’accoglienz­a che noi ci sogniamo. Quest’ultima è la sola risposta sicura.

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