«All’Ue serve un esercito Basta decisioni all’unanimità»
«È fondamentale, come avverrà in settimana, che il presidente Draghi riferisca alle Camere E serve con urgenza una revisione del Pnrr» La presidente del Senato: sì a un esercito europeo
All’Unione Europea «serve un esercito comune» per diventare più forte «così da non essere a rimorchio degli altri e affermare un’autonoma politica estera», dice la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. «Basta prendere decisioni all’unanimità». Il Parlamento, spiega, «deve essere determinante per gli indirizzi da dare al governo sulla guerra. La pace sia cercata anche a livello internazionale».
Quasi quattro mesi fa, Maria Elisabetta Casellati veniva candidata dal centrodestra al Quirinale, ottenendo un oggettivo riconoscimento ma meno voti — furono 382 — di quelli attesi. Uno strappo che ancora pesa nella coalizione ma lei — da presidente del Senato, massima carica istituzionale mai rivestita da una donna in Italia — non ha rimorsi né rimpianti: «È un onore essere stata la donna più votata alle elezioni presidenziali nella storia della Repubblica. Per di più con un corpo elettorale ridotto della metà per l’astensione della sinistra. Quanto ai franchi tiratori, le elezioni presidenziali passate hanno visto cadere nomi illustri, come Prodi e Fanfani, sotto il fuoco amico. Cercarne le ragioni è un esercizio che non mi appassiona, anche perché spesso come la storia ci insegna di ragioni vere non ce ne sono».
Se sia stato o no il «fattore donna» ad aver pesato, non lo dice: «Non so se mi abbia penalizzato». Salvo osservare che «in più di 70 anni l’unico precedente significativo è stato quello di Nilde Iotti con 249 voti». Ma è ora di continuare il cammino, in tempi complessi e drammatici. Quelli della guerra in Ucraina, che dovrà portare ad una nuova Europa politica, con un esercito comune, ed economica attraverso «un nuovo piano Marshall». Ma anche un ruolo più centrale del Parlamento, che ora sarà «determinante nell’ascoltare e decidere» la linea del governo.
Più forze politiche ormai chiedono di spingere per trattative e cessate il fuoco in Ucraina. La strada «pacifista» è stata battuta troppo poco dal governo?
«È evidente che tutti aspiriamo alla pace perché ogni guerra rappresenta una tragica frattura dell’umanità. Però la parola pace ha un senso solo se è raggiungibile. Ci stiamo confrontando con una guerra a più dimensioni che ha sconvolto l’architettura dei poteri a livello internazionale. E quindi è a livello internazionale che va ricercata la soluzione negoziale, mettendo attorno al tavolo non solo Russia e Ucraina, ma anche le grandi potenze, come gli Stati Uniti, la Cina e ovviamente l’Unione Europea. Ma parlo di una Ue che non sia a rimorchio degli altri, ma che sappia affermare una sua autonoma politica estera e di difesa, superando divisioni e incertezze che la condannano all’irrilevanza. Se è vero come è vero che le spese militari degli Stati dell’Ue sono quattro volte superiori a quelle della Russia, vuol dire che non c’è un problema di risorse per gli armamenti. Ma semmai di razionalizzazione della spesa insieme ad una unità di comando. Basterebbe dunque una volontà politica comune di costruire un esercito europeo che vorrebbe dire, come tutti sanno, che un altro pezzo di Europa è stato fatto».
Intanto il premier Draghi
è stato negli Usa senza prima un mandato ad hoc del Parlamento, come chiedevano alcune forze politiche. Le Camere sono state coinvolte a sufficienza sulla guerra?
«Ritengo fondamentale che, come avverrà in settimana, il presidente Draghi venga a riferire al Parlamento sugli esiti della visita negli Stati Uniti e del suo confronto con il presidente Biden. È qui che il Parlamento dovrà avere un ruolo determinante nell’ascoltare e nel decidere gli indirizzi da dare al governo».
La guerra porta con sé effetti su economie anche non direttamente coinvolte. Quanto gravi secondo lei?
«In un sistema globale di relazioni economiche sempre più interdipendenti, la dimensione lacerante del conflitto Russia-Ucraina evidenzia tutta la fragilità di strategie che soltanto ieri potevano essere efficaci e che oggi invece non sono più sufficienti. Mi preoccupano la mancanza di autosufficienza energetica e alimentare, l’aumento dei prezzi, la scarsità di materie prime. In particolare, la crisi alimentare peserebbe in maniera preoccupante a livello globale su Paesi come quelli africani che per la lotta alla sopravvivenza sarebbero spinti ulteriormente all’immigrazione».
E come si sta muovendo il governo secondo lei? Va rivisto il Pnrr?
«Dobbiamo superare il rischio che alla galoppante inflazione si accompagni anche la stagnazione. Serve con urgenza un cambio di passo sostanziale verso una profonda revisione del Pnrr. Una riforma che deve necessariamente partire dal livello europeo ed essere finanziata con debito comune, evitando che le sanzioni finiscano per colpire prevalentemente chi le infligge piuttosto di chi le subisce. In questa direzione, è urgente superare le divisioni tra Paesi frugali e non, che sembravano appartenere al passato. E, a ragione, a mio parere Draghi si sta battendo per una modifica dei Trattati europei per eliminare la regola dell’unanimità. Un paradosso intollerabile perché la dittatura di una minoranza finisce per sacrificare gli interessi reali della maggioranza. Un grave vulnus alla democrazia».
La ripresa economica è a rischio: quali dovrebbero essere le priorità della politica?
«Gli effetti della crisi non sono distribuiti egualmente a livello internazionale. L’Europa e in particolare l’Italia sono tra le aree più colpite. Vi è il rischio che la crisi economica diventi una crisi sociale. Sono molto preoccupata per famiglie e imprese. Le bollette energetiche stanno diventando insostenibili per tutti e questo, a cascata, riduce i consumi e quindi la produzione. Molti settori economici stanno risentendo della guerra in Ucraina più che della pandemia. Penso davvero che servirebbe un nuovo Piano Marshall per l’Europa».
Dopo l’esperienza del governo Draghi di unità nazionale, crede che il centrodestra e il centrosinistra potranno essere ancora i poli che si sfidano per il governo alle prossime elezioni? O dobbiamo immaginare nuove alleanze, perfino una nuova unità nazionale?
«Il governo Draghi nasce in un momento eccezionale sostenuto da una coalizione di unità nazionale per affrontare la grave emergenza sanitaria della pandemia e per rispettare le scadenze del Pnrr, alle quali è legata la ripartenza del nostro Paese. Fare “fantapolitica” non mi interessa. Saranno i partiti a decidere in base ai programmi che cosa fare».
Con il taglio dei parlamentari, Camera e Senato potrebbero perdere ulteriormente ruolo o ragion d’essere?
«Non condivido affatto questo scenario apocalittico delle Camere. Meno parlamentari non portano ad un Parlamento declassato, ma ad un Parlamento che potenzialmente potrà svolgere le sue funzioni in maniera più agile. Non viene toccata la sua centralità nel rapporto con gli altri poteri dello Stato, a beneficio dello stesso governo. Perché, come è stato autorevolmente sostenuto, ad un Parlamento forte corrisponde un governo forte, ad un Parlamento debole corrisponde un governo debole».
Mercoledì il Senato, insieme ad altre istituzioni, è stato oggetto di un attacco cibernetico. La preoccupa?
«Sono preoccupata sul futuro della cyberguerra. Dobbiamo fare di più su quella che è la vera sfida del presente e del futuro. Bisogna tenere alta la guardia. Dietro un attacco hacker c’è molto più di un portale inaccessibile per qualche ora. In gioco ci sono i nostri diritti costituzionali, la tutela delle libertà fondamentali in tutti gli ambiti della nostra vita, da quelli comuni fino a quelli più delicati e sensibili come i dati personali. Per questo ho chiesto di attivare in Senato misure anche straordinarie per tutelare il nostro sistema informatico e quanto in esso contenuto».
L’Unione Europea non sia a rimorchio degli altri ma sappia affermare una sua autonoma politica estera superando le divisioni