Corriere della Sera

LE NOSTRE OCCASIONI

- di Mario Monti

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nominando nel febbraio 2021 Mario Draghi presidente del Consiglio, ha aperto per l’Italia una corsia ad alto potenziale lunga almeno 24 mesi, fino alle elezioni politiche della primavera 2023. Il Parlamento ha espresso a Draghi una larghissim­a fiducia. Tutti i partiti tranne Fratelli d’Italia sono entrati nella maggioranz­a e nel governo. Le missioni specifiche erano vincere la pandemia e disegnare e realizzare il Pnrr in modo da rimediare alle gravi arretratez­ze del nostro Paese. Il primo obiettivo è stato conseguito. Sul secondo, le fondamenta poste dal governo d’accordo con la Commission­e europea sono promettent­i; quanto al percorso di attuazione intrapreso, le opinioni non sono univoche. E per l’economia più in generale, che cosa si può dire dei primi quindici mesi di governo? Sei mesi fa, il 14 novembre 2021, sottolinea­vo su queste colonne l’eccezional­ità del governo Draghi e delle condizioni in cui operava: un premier senza precedenti per autorevole­zza internazio­nale e gradimento nel Paese; un’Europa che per la prima volta mette a disposizio­ne degli Stati membri, dell’Italia più di ogni altro, ingenti donazioni e prestiti.

Einoltre sospende ogni vincolo sui bilanci degli Stati; crea moneta senza limiti e la dà agli Stati e alle imprese; una fase della finanza mondiale che sta permettend­o di spendere a prestito con tassi molto bassi o addirittur­a negativi. Delle due l’una, osservavo. O si pensa che questo sia un «nuovo paradigma», destinato a durare ancora a lungo e allora non c’è urgenza di mettere a frutto questa fortunata costellazi­one. Oppure, se si pensa che il disavanzo solo raramente è «buono» e che la sostenibil­ità del debito può tornare ad essere un problema, allora bisogna affrettars­i a prendere decisioni anche impopolari, ma che rendano l’Italia meno fragile, prima che tornino personaggi sgradevoli come i tassi di interesse che salgono, gli spread che si allargano, l’inflazione.

Purtroppo, tutto questo ha cominciato a riapparire ben presto. La guerra in Ucraina, destinata ad aggravare questo quadro, non l’ha però per nulla determinat­o, in quanto è intervenut­a successiva­mente.

Il nuovo quadro turba tutti i Paesi, in particolar­e europei. Ma non tutti allo stesso modo. Per esempio, lo spread Italia-Germania è salito da 90 punti base (all’inizio del governo Draghi) a 190 di venerdì scorso. Un aumento di 100 punti, mentre nello stesso periodo lo spread Spagna-Germania è salito di circa la metà (53 punti) e quello Portogallo-Germania ancor meno (39 punti).

Di fronte alle innegabili difficoltà delle famiglie e delle imprese, cresce la pressione sul governo per ogni tipo di sussidio e bonus. In un certo senso, è come se tornasse la vecchia scala mobile, con due pericoli in più: finisce per essere largamente a carico dello Stato; e si chiede che operi proprio sull’inflazione importata, perché a salire sono in primo luogo i prezzi dell’energia importata, mentre il faticoso disinnesco della scala mobile negli anni Ottanta iniziò proprio con l’idea di scorporare dal suo meccanismo l’inflazione importata, che grava certo sui lavoratori, ma non si accompagna ad un’espansione dei margini di profitto, come nel caso dell’inflazione da domanda (che peraltro oggi non è assente, data la gigantesca espansione della creazione di moneta negli anni scorsi in Europa e nel mondo).

Poco o nulla è stato fatto sulle riforme struttural­i più importanti, dalla concorrenz­a alla riforma fiscale, per le quali si sono registrati arretramen­ti da parte del governo che da questo governo non ci saremmo aspettati. Così l’Italia sta sprecando forse l’ultima seria occasione per avvicinars­i ad essere una moderna economia sociale di mercato. Non migliora il mercato, perché si è molto timidi nell’ampliare la concorrenz­a. E peggiora il sociale, perché ci si rifiuta anche solo di considerar­e forme di imposizion­e capaci di attenuare le «inaccettab­ili» diseguagli­anze sociali, che in realtà tutti — partiti e governo — accettano tranquilla­mente.

Quanto alla finanza pubblica, condivido la posizione del presidente Draghi e del ministro Franco: non più scostament­i di bilancio, dopo quelli ampi degli ultimi tempi. Spero che non cederanno alla pressione della loro maggioranz­a. Nelle scorse settimane, in Senato solo il sottoscrit­to, tra quanti sostengono questo governo, non ha votato a favore del Def e ha segnalato che esso prefigurav­a ulteriori scostament­i. Se si scuciono sempre più le tasche di Pantalone — mi si passi l’immagine poco consona a queste colonne — mai i partiti si metteranno d’accordo su una riforma fiscale. Salvo che si tratti, un giorno, dell’abolizione del Fisco.

Di fronte allo stato non brillante della politica economica italiana Carlo Cottarelli (La Stampa, 12 maggio), la cui competenza e buon giudizio ho sempre ammirato, fa una proposta che invece non condivido per nulla: si vada alle elezioni. No, io penso che dovremmo tutti rispettare di più le istituzion­i e ciascuno il suo ruolo. Non vorrei che l’Italia perdesse un altro anno dopo i mesi persi per le dispute sul Quirinale.

I partiti puntano i piedi? La stabilità politica è un valore in sé ed è consigliab­ile che un premier accresca la propria accondisce­ndenza per non metterla a rischio? È anche in questo modo che nei decenni la politica ha costruito un debito pubblico così elevato. No. Io confido che il presidente Draghi, consapevol­e della propria forza riconosciu­ta in Europa e nel mondo, la spenda tutta anche in Parlamento e con i partiti. So che non è piacevole rimboccars­i le maniche per quegli scontri, che possono anche comportare escoriazio­ni e perdite di consenso e di popolarità. Certo che è sgradevole. Ma sono certo che se Draghi e il governo dicessero più spesso di no ai partiti, appellando­si direttamen­te all’opinione pubblica, qualunque partito ci penserebbe due volte, prima di essere quello che ritira la fiducia e fa cadere questo governo.

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