La svolta in Svezia: sì dei progressisti Fine della neutralità iniziata 208 anni fa
Oggi i socialdemocratici, partito egemone, annunceranno il sostegno all’ingresso nella Nato. Lunedì il voto in Parlamento La premier Andersson: «C’è un prima e un dopo il 24 febbraio»
Quando in Svezia si dice «Whiskey on the Rocks» non si parla di scotch con ghiaccio. Nella memoria di chi era adulto durante la Guerra fredda, il pensiero va subito al 1981, quando un sottomarino nucleare sovietico della classe Whiskey, all’evidenza impegnato in attività di ricognizione e spionaggio, si incagliò su uno scoglio al largo della costa svedese non lontano da una base militare. Fu una sorta di fine dell’innocenza per la democrazia nordica, che ufficialmente si voleva non allineata. Iniziò quel giorno un dibattito sulla neutralità del Paese, che non si è mai interrotto e che proprio in questi giorni giunge alla sua conclusione ideale.
A meno di clamorosi e improbabili ripensamenti dell’ultima ora, oggi la socialdemocrazia svedese varcherà il suo Rubicone. Il partito che dal 1917 si è sempre attestato al primo posto nelle elezioni scandinave, i socialdemocratici, dovrebbe annunciare il suo sostegno all’ingresso della Svezia nella Nato. Cadrà così l’ultimo diaframma verso la formulazione di una candidatura ufficiale da parte del governo di Stoccolma, che avverrà di passo con quella già certa della Finlandia. È una svolta che era impensabile ancora pochi mesi fa, quando la premier socialdemocratica Magdalena Andersson escludeva categoricamente ogni scenario di adesione.
«C’è un prima e un dopo 24 febbraio», ha detto Andersson, riferendosi al giorno d’inizio della guerra di aggressione russa contro l’Ucraina. «La geografia della sicurezza è completamente cambiata e data la nuova situazione dobbiamo pensare cosa sia meglio per la Svezia e la nostra pace».
Ma se il congedo dalla neutralità trova in Finlandia un consenso quasi totale nell’opinione pubblica, dove i favorevoli alla Nato sono passati dal 20 all’80% in un solo anno, in Svezia la scelta è molto più problematica: pur raddoppiata nell’ultimo anno, la percentuale di chi appoggia l’adesione all’Alleanza supera infatti di poco il 50%.
Non allineamento
La riluttanza svedese va molto oltre i tormenti di un partito, che ha costruito la propria identità su due secoli di non allineamento. «Per i socialdemocratici», ammette Hans Wallmark, deputato dei Moderati di centrodestra, «è un tema quasi religioso e quindi bisogna rispettare il loro travaglio».
Che in realtà è il rovello di un’intera nazione, che ha costruito il proprio prestigio internazionale sulla neutralità, le operazioni di peacekeeping, il disarmo nucleare, l’accoglienza ai rifugiati, la parità di genere e perfino una «politica estera femminista». È dal 1814, dalla guerra con la Norvegia, che Stoccolma non partecipa a un conflitto armato. Cinque anni prima, invasa dall’impero zarista, era stata costretta a cedere alla Russia la Finlandia, fin lì parte del Regno di Svezia. Risparmiato dai massacri delle due guerre mondiali, il Paese scandinavo scelse di rimanere fuori dai blocchi durante la Guerra fredda, intestandosi una politica estera proattiva in favore della pace e del dialogo internazionale.
Di tutte le figure politiche svedesi, quella di Olof Palme, il premier socialdemocratico assassinato nel 1986, ha più di ogni altra incarnato il protagonismo di Stoccolma. «Ci siamo sempre considerati la voce illuminata dell’umanità», dice con un filo d’ironia Carl Bildt, il premier liberale che a metà degli anni Novanta portò la Svezia nell’Unione europea, dando il primo colpo al tabù della neutralità.
Verso Ovest
Non tutto però è come appare. La candidatura a membro della Nato, che pure tocca il codice genetico del Paese, è un’evoluzione piuttosto che una rivoluzione. E non solo perché dal 1995 Stoccolma aderisce al programma di cooperazione militare Partnership for Peace con le nazioni dell’Alleanza e partecipa alle esercitazioni. Dopo la Seconda guerra mondiale, a differenza della Finlandia, il governo svedese accettò gli aiuti del Piano Marshall e rimase sempre nell’orbita occidentale, ricambiando discretamente la generosità americana. In uno dei capitoli meno noti della Guerra fredda, chiamato dagli esperti l’«alleanza nascosta», Stoccolma fornì infatti agli Stati Uniti preziose informazioni d’intelligence, come l’Amber Nine, un corridoio segreto che i caccia Usa e Nato potevano usare nello spazio aereo svedese.
Ma nulla toglie che il trauma provocato dall’avventurismo militare di Vladimir Putin sia stato forte, rovesciando antiche percezioni e facendo impennare il senso d’insicurezza collettiva. Pur tra i dubbi di chi teme che con l’adesione alla Nato la Svezia perda il talismano della sua credibilità come agente di pace, il sentiero sembra tracciato: non è più il tempo della neutralità.