Controffensiva ucraina: l’avanzata verso Izyum
A Kharkiv con le truppe che stanno cacciando i russi verso il confine. La cautela del governo: «Battaglia lunga» I civili reduci da mesi di bombe temono di uscire dai rifugi
Il drone russo vola alto, invisibile nel cielo carico di nuvole bianche. «Sgombrare subito la strada, tra poco arriveranno le cannonate», grida Graf, che è il nome di battaglia del comandante del 229esimo battaglione della fanteria da montagna impegnato nelle battaglie a nord di Kharkiv. Tutti obbediamo rapidi, non c’è tempo per pensare, trascorrono solo quattro o cinque secondi dal sibilo allo scoppio. Le case distrutte, i crateri delle bombe tutto attorno, le zolle di terra scaraventate tra i rami, il benzinaio di fronte incenerito tra rottami e lamiere testimoniano del pericolo immanente e grave delle deflagrazioni.
Carristi e fanteria
Ieri siamo tornati a seguire l’avanzata delle unità ucraine che da oltre due settimane ormai spingono inesorabilmente i russi indietro sulle loro linee di partenza, nelle basi attorno a Belgorod, oltre la traccia convenzionale del confine tra i due Paesi.
«Stiamo vincendo e i russi non possono farci nulla, se non cercare di sparare per rallentarci con le artiglierie pesanti e l’aviazione. Abbiamo scoperto che i loro carristi e le fanterie da tempo evitano lo scontro diretto, si riparano dietro il fuoco dei cannoni», osserva fiducioso Graf. I suoi uomini annuiscono, sono evidentemente sollevati dall’idea di essere passati dalla difesa all’attacco.
Ogni giorno che passa, l’eventualità che i russi possano colpire l’area urbana di Kharkiv si fa sempre più remota. «Però qui non è come a Kiev due mesi fa. I russi a metà marzo decisero che dovevano ripiegare dalla zona della capitale e lo fecero con metodo. Lasciarono poche unità di retroguardia, mentre il grosso dei loro convogli sfilava in buon ordine verso nord. A Kharkiv non è così, ci fanno pagare caro ogni metro di terreno. Siamo a pochi chilometri dalle loro basi oltreconfine, per loro non è difficile mandare munizioni e carburante alle unità sul campo. Così siamo costretti a fronteggiare le loro imboscate quotidiane accompagnate dai raid degli elicotteri, che ci sparano da lontano, sparendo poi oltre la frontiera non appena li prendiamo di mira», gli fa eco Max (un altro nome di battaglia), che è un ufficiale molto giovane del locale battaglione di volontari della Azov, incaricato di monitorare le comunicazioni tra le unità russe.
I rinforzi
Entrambi gli ufficiali confermano la novità degli ultimi tre giorni. I successi del contrattacco ucraino a Kharkiv aiutano adesso a spostare uomini e mezzi verso Izyum e le zone del Donbass settentrionale. «Siamo in una fase del tutto nuova. I rinforzi americani, specie di cannoni, razzi e droni, assieme a quelli degli altri alleati occidentali ci permettono di essere molto più agili di prima. Adesso saremo noi ad accerchiare le unità russe che un mese fa proprio da Izyum miravano a scendere verso sud e circondare il nostro corpo di spedizione schierato sul Donbass», ci racconta Segheji, un ufficiale 28enne dell’Ottavo battaglio
Giovani ufficiali sognano di arrivare fino a Mariupol: «Vogliamo liberare i compagni che resistono nell’acciaieria» Nella città ferita rari passanti, negozi chiusi e niente traffico
ne d’Assalto che ieri mattina stava riorganizzando i suoi uomini per puntare su Izyum con il compito poi di rafforzare le difese del fronte a Kramatorsk e infine ricacciare i russi indietro verso Lugansk. «Presto anche tutti successi russi sul Donbass saranno azzerati e allora mireremo a prendere anche le zone che loro avevano occupato nel
Donbass «Volevano circondare il corpo di spedizione in Donbass, saremo noi presto a circondarli»
2014», aggiunge.
Messa in guardia
Sono parole che rivelano l’ottimismo, se non l’euforia, raccolta anche da noi stando tra i soldati in questo settore. E tuttavia è lo stesso ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, a mettere in guardia: «La nuova fase della guerra sarà lunga e difficile».
Il sogno di Mariupol
L’obbiettivo finale della corsa verso la riconquista non viene ancora esplicitato con chiarezza dagli alti comandi di Kiev, ma tra le guarnigioni sul campo se ne parla ormai apertamente. «Mariupol! Ovvio
che miriamo a Mariupol. Se riuscissimo a disimpegnare abbastanza truppe qui dal fronte orientale allora potremmo cercare di liberare i nostri combattenti accerchiati nella acciaieria Azovstal», dice ancora Max con la libertà garantita dal suo status di volontario della Azov, senza le censure dell’esercito regolare. Lui comunica personalmente quasi ogni giorno via Telegram con due amici asserragliati nell’acciaieria. «Là sono ancora in tanti a combattere ancora. Ma scarseggiano cibo e munizioni. Noi dobbiamo fare in fretta, al massimo entro i primi di giugno dovremo salvarli, altrimenti li uccideranno tutti», aggiunge speranzoso.
La sindrome del metrò
Eppure, permane ancora una Kharkiv ferita, spaventata, ancora piegata su sé stessa. Non solo i rari passanti tra le rovine, i negozi chiusi, il traffico azzerato, ma anche la malattia diffusa della paura, quella che un poliziotto di guardia alla stazione Sportivnaia definisce «la sindrome del metrò». Spiega: «Abbiamo notato che un numero non indifferente di sfollati ancora non esce dalle gallerie del metrò, restano chiusi, anche se da una decina di giorni i russi non possono più colpire il centro. Sono traumatizzati, vivono sottoterra come in una bolla sospesa».