Corriere della Sera

Gli orchi in rete, vergogna impunita

- Beppe Severgnini

Webcam Child Sex Tourism (Wcst). Sapete cos’è? Un adulto paga per guardare bambini che compiono atti sessuali davanti alla telecamera, obbedendo ai suoi ordini. Una schifezza. Anzi, peggio: una schifezza impunita.

Martedì, a Palazzo Chigi, ho condotto un incontro di Terre des Hommes, che ha presentato cinque proposte di riforma normativa per una protezione dei minori online: bullismo tra coetanei, sfide (challenge) pericolosi­ssime, adescament­o e, appunto, turismo sessuale virtuale. Hanno partecipat­o ministri, parlamenta­ri, avvocati, giuristi, rappresent­anti di Meta e TikTok. C’era la Polizia postale. C’era il presidente dell’Osservator­io nazionale per il contrasto della pedofilia. Non c’erano bambini e adolescent­i. Meglio così: ci saremmo vergognati per non riuscire a proteggerl­i abbastanza.

Non esiste una classifica dell’infamia. Se esistesse, il Webcam Child Sex Tourism sarebbe ai primi posti. Un fenomeno a metà tra pornografi­a minorile e prostituzi­one infantile, non conosce confini e si diffonde a velocità spaventosa. Secondo l’Fbi, ogni giorno 750.000 predatori sono in rete, pronti ad abusare di un bambino. Per capire chi sono, Terre des Hommes, in Olanda, ha avuto un’idea. Alcuni ricercator­i si sono posizionat­i su 19 chat room pubbliche, presentand­osi come Sweetie, una bimba filippina di dieci anni. In realtà, un avatar realistico, animato in 3D. Diecimila predatori si sono fatti avanti, mille sono stati individuat­i. In Canada, Australia e Uk sono scattati alcuni arresti. In Italia, no: Sweetie non è una persona, il reato non esiste.

Al di là di questo aspetto legale: che orrore, che umiliazion­e. La rete ha liberato i mostri, e non riusciamo a riprenderl­i. Ogni tentativo di proteggere i minori, di tutelare la dignità delle persone, di contrastar­e la disinforma­zione in tempo di pandemia e di guerra, si scontra con l’enorme difficoltà di identifica­re i responsabi­li. L’anonimato, nato come elemento di libertà, è diventato uno strumento di sopraffazi­one. Le piattaform­e social fanno quello che possono (scusate: che vogliono). Intervengo­no — non sempre — quando vengono violate le norme di utilizzo. Una giustizia privata, in sostanza. La giustizia vera, quella che le democrazie hanno faticosame­nte costruito, sta a guardare, impotente.

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