Corriere della Sera

IL CODICE GENETICO OPPOSTO DEL MILAN E DELL’INTER

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Caro Aldo,

nella trasmissio­ne sportiva «Tutti convocati» di Radio 24 (il 9 maggio), il conduttore Carlo Genta ha definito il Milan di Pioli una squadra comunista (ovviamente in senso calcistico; suscitando la perplessit­à dell’ospite Carlo Pellegatti, milanologo, dichiarato­si un liberale malagodian­o). Stiamo al gioco (divertente) iniziato da Genta: per il loro modo di stare in campo, lei (sempre giustament­e attento al calcio) quale etichetta politica darebbe alle varie squadre protagonis­te di questo campionato?

Roberto Arvedi Pontedello­lio (Pc)

Caro Roberto,

Ovviamente il Milan non è comunista; anche se un tempo le squadre che portano il nome della loro città avevano una tradizione di tifoseria popolare, orientata a sinistra. Vale per il Milan come per il Toro, la Roma, il Genoa; mentre dall’altra parte le curve di Inter, Juve, Lazio guardavano a destra (ma non quella della Samp). Oggi i ceti popolari votano a destra, e le curve sono state infiltrate da gruppi estremisti.

In effetti, però, durante i vittoriosi Mondiali tedeschi del 2006 Marcello Lippi disse che la sua Italia era una «squadra socialista». Intendeva dire che non c’erano star, solisti, tenori: ogni compagno era tenuto a lavorare per l’altro. La base di quella Nazionale era la difesa, i giocatori-chiave Buffon, Cannavaro, Materazzi, Grosso, Gattuso; ma anche Pirlo, Del Piero, Totti si misero al servizio del collettivo. Praticamen­te non prendemmo gol in tutto il Mondiale, a parte un’autorete di Zaccardo nella seconda partita pareggiata con gli Usa e un rigore (dubbio) di Zidane in finale.

Nils Liedholm, il vero inventore del tiki-taka e del calcio moderno, mi spiegò che ogni squadra ha un codice genetico. Il Milan ad esempio, come la Roma, ha sempre avuto il senso del bel gioco, dai tempi del Gre-No-Li al tourbillon di Sacchi; e lo stesso Rocco, che passava per difensivis­ta, schierava insieme Sormani, Prati, Rivera. La Roma di Liedholm veniva al Comunale di Torino e dominava la partita; poi magari partivano Boniek e Platini in contropied­e; ma tra Di Bartolomei, Ancelotti, Conti, Falcão, Toninho Cerezo, la palla ce l’avevano sempre i gialloross­i. Proprio Liedholm faceva notare che la Juve e l’Inter, da quella del Mago Herrera a quella di Mourinho, hanno sempre avuto un’impostazio­ne più «italiana» (Brera parlava di «squadra femmina»): non necessaria­mente difesa e contropied­e, ma comunque capacità di farsi concava e convessa, di adeguarsi al gioco altrui, e di usare come un judoka la forza dell’avversario per sconfigger­lo.

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