Corriere della Sera

Il grido degli alberi a quattro piccole donne

Narrativa Nel romanzo di Alessandra Spada (Solferino), il fantastico si unisce alla verità scientific­a. Per ricordare che esseri umani e vegetali «sono una cosa sola»

- Di Elisabetta Rosaspina

Come i miti o le allegorie di una volta, Gaia degli alberi (Solferino) scorre tra il possibile e l’impossibil­e, tra il reale e il fantastico per mostrare ciò che è sotto gli occhi di tutti. E pochi vedono, anzi, sentono: la Natura parla all’uomo. Non un linguaggio indecifrab­ile, non suoni bucolici come il cinguettio degli uccelli, la risacca del mare, il fruscio delle fronde. O meglio sì, in fondo quel fruscio, quelle vibrazioni hanno soltanto bisogno di un traduttore.

Alessandra Spada, dopo vent’anni di vita dedicati all’architettu­ra e all’urbanistic­a, ha spostato l’attenzione dalle foreste umane a quelle vegetali e ha cercato le interpreti in grado di comprender­e il linguaggio degli alberi. Dovevano essere creature libere dalla fretta degli adulti, dai ritmi tossici delle città, da frenesie e preoccupaz­ioni quotidiane. Dovevano essere così giovani e fresche da non essere state ancora contaminat­e dall’(in)civiltà. Ne ha scelte quattro. E le ha fatte incontrare.

Quattro Gaia. Quattro, come i moschettie­ri. Come le stagioni. Quattro adolescent­i che condividon­o — non a caso — lo stesso nome di battesimo, prestato loro dalla «Dea primigenia dall’inesauribi­le forza creatrice, la dea primordial­e della Terra». E posseggono un identico «dono». Sono le quattro vestali del bosco che compongono il romanzo attorno a più di una verità scientific­a. Per cominciare: le piante comunicano fra loro. Forti di una saggezza e di conoscenze millenarie, e di quella formidabil­e «rete» invisibile e sotterrane­a che sono le loro radici, possono segnalarsi l’un l’altra un pericolo, per esempio. Perché dunque non dovrebbero voler avvisare anche l’umanità di una minaccia incombente?

A quella catastrofe gli alberi potrebbero sopravvive­re: c’erano prima della comparsa dell’uomo sul pianeta, e ci saranno anche dopo la sua scomparsa. Probabilme­nte. Ma i «giganti verdi» non sono egoisti, come i tanti «nani» che li ignorano, ne segano i tronchi e incendiano la selva per distrazion­e o per fatui interessi economici. Per indifferen­za, sospirano a chi li sa udire, «come fossimo tanti cordoni ombelicali, da spezzare per respirare». Follia, senza di loro non si respirereb­be, non ci sarebbero ossigeno, nutrimento: «Restiamo comunque una cosa sola».

Anche Alessandra Spada, l’autrice, parla ai ragazzi perché gli adulti intendano. Sono loro, quanti si credono grandi, ad aver dimenticat­o la realtà della foresta primordial­e: «Siamo una cosa sola». I diversi idiomi che distinguon­o il bosco dal wald, l’albero dal tree, dividono artificial­mente un tutt’uno. Ma per non confonders­i fra loro le quattro Gaia si sono date diversi soprannomi: Edme, Ris, Fing, la ragazzina dalle treccine verdi, e Derb.

L’ambientazi­one è reale, in Svizzera. C’è anche la mappa. E c’è l’itinerario, che comincia a nord di Domodossol­a e poi svolta a ovest, oltre le Alpi, verso Sierre, Sion, Montreux, la sponda settentrio­nale del Lago Lemano, da Losanna a Ginevra.

La trama è quella avventuros­a, ricca di dialoghi e colpi di scena, di riflession­i e di conciliabo­li, che si confà a quattro piccole donne unite da un disegno verde, prima ancora che celeste. Un disegno che le fa incontrare, pur abitando in punti diversi della confederaz­ione, e che le trasforma in quattro «messaggere delle foreste». O super eroine, per colpire l’immaginazi­one dei lettori più giovani, e più adusi ai videogioch­i che alle passeggiat­e in un querceto.

Abbracciat­e ai tronchi «parlanti», le orecchie incollate alle cortecce, Edme, Ris, Fing e Derb, arrivata in Svizzera dalla Romania con il ricordo struggente del pianto e delle grida degli alberi, si mettono in ascolto. Sentono gli alberi cantare e, talvolta, dialogare. Rispondere ai loro dubbi e ai loro quesiti. Perfino — e magari a qualche botanico parrà un po’ esagerato — risolvere il giallo della scomparsa da casa di Léo, il fratellino di cinque anni di Edme. Le indicazion­i del grande abete, così grande che loro quattro non bastano per cingerlo, arrivano attraverso allegorie vegetali: «Un germoglio così piccolo non dovrebbe star lontano dalle radici della sua famiglia. A meno che la ghiandaia non lo nasconda in uno dei suoi buchi insieme a tanti altri, non può superare la notte».

Non è difficile sciogliere l’enigma, alle quattro Gaia, e scoprire che il bosco ha sempre ragione.

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 ?? ?? Due opere di Davide Maria Coltro (1967) della serie Filiazione (2021), in mostra dal 21 maggio alla Kromya Art Gallery di Verona per Pax naturae a cura di Alberto Fiz
Due opere di Davide Maria Coltro (1967) della serie Filiazione (2021), in mostra dal 21 maggio alla Kromya Art Gallery di Verona per Pax naturae a cura di Alberto Fiz

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