Il grido degli alberi a quattro piccole donne
Narrativa Nel romanzo di Alessandra Spada (Solferino), il fantastico si unisce alla verità scientifica. Per ricordare che esseri umani e vegetali «sono una cosa sola»
Come i miti o le allegorie di una volta, Gaia degli alberi (Solferino) scorre tra il possibile e l’impossibile, tra il reale e il fantastico per mostrare ciò che è sotto gli occhi di tutti. E pochi vedono, anzi, sentono: la Natura parla all’uomo. Non un linguaggio indecifrabile, non suoni bucolici come il cinguettio degli uccelli, la risacca del mare, il fruscio delle fronde. O meglio sì, in fondo quel fruscio, quelle vibrazioni hanno soltanto bisogno di un traduttore.
Alessandra Spada, dopo vent’anni di vita dedicati all’architettura e all’urbanistica, ha spostato l’attenzione dalle foreste umane a quelle vegetali e ha cercato le interpreti in grado di comprendere il linguaggio degli alberi. Dovevano essere creature libere dalla fretta degli adulti, dai ritmi tossici delle città, da frenesie e preoccupazioni quotidiane. Dovevano essere così giovani e fresche da non essere state ancora contaminate dall’(in)civiltà. Ne ha scelte quattro. E le ha fatte incontrare.
Quattro Gaia. Quattro, come i moschettieri. Come le stagioni. Quattro adolescenti che condividono — non a caso — lo stesso nome di battesimo, prestato loro dalla «Dea primigenia dall’inesauribile forza creatrice, la dea primordiale della Terra». E posseggono un identico «dono». Sono le quattro vestali del bosco che compongono il romanzo attorno a più di una verità scientifica. Per cominciare: le piante comunicano fra loro. Forti di una saggezza e di conoscenze millenarie, e di quella formidabile «rete» invisibile e sotterranea che sono le loro radici, possono segnalarsi l’un l’altra un pericolo, per esempio. Perché dunque non dovrebbero voler avvisare anche l’umanità di una minaccia incombente?
A quella catastrofe gli alberi potrebbero sopravvivere: c’erano prima della comparsa dell’uomo sul pianeta, e ci saranno anche dopo la sua scomparsa. Probabilmente. Ma i «giganti verdi» non sono egoisti, come i tanti «nani» che li ignorano, ne segano i tronchi e incendiano la selva per distrazione o per fatui interessi economici. Per indifferenza, sospirano a chi li sa udire, «come fossimo tanti cordoni ombelicali, da spezzare per respirare». Follia, senza di loro non si respirerebbe, non ci sarebbero ossigeno, nutrimento: «Restiamo comunque una cosa sola».
Anche Alessandra Spada, l’autrice, parla ai ragazzi perché gli adulti intendano. Sono loro, quanti si credono grandi, ad aver dimenticato la realtà della foresta primordiale: «Siamo una cosa sola». I diversi idiomi che distinguono il bosco dal wald, l’albero dal tree, dividono artificialmente un tutt’uno. Ma per non confondersi fra loro le quattro Gaia si sono date diversi soprannomi: Edme, Ris, Fing, la ragazzina dalle treccine verdi, e Derb.
L’ambientazione è reale, in Svizzera. C’è anche la mappa. E c’è l’itinerario, che comincia a nord di Domodossola e poi svolta a ovest, oltre le Alpi, verso Sierre, Sion, Montreux, la sponda settentrionale del Lago Lemano, da Losanna a Ginevra.
La trama è quella avventurosa, ricca di dialoghi e colpi di scena, di riflessioni e di conciliaboli, che si confà a quattro piccole donne unite da un disegno verde, prima ancora che celeste. Un disegno che le fa incontrare, pur abitando in punti diversi della confederazione, e che le trasforma in quattro «messaggere delle foreste». O super eroine, per colpire l’immaginazione dei lettori più giovani, e più adusi ai videogiochi che alle passeggiate in un querceto.
Abbracciate ai tronchi «parlanti», le orecchie incollate alle cortecce, Edme, Ris, Fing e Derb, arrivata in Svizzera dalla Romania con il ricordo struggente del pianto e delle grida degli alberi, si mettono in ascolto. Sentono gli alberi cantare e, talvolta, dialogare. Rispondere ai loro dubbi e ai loro quesiti. Perfino — e magari a qualche botanico parrà un po’ esagerato — risolvere il giallo della scomparsa da casa di Léo, il fratellino di cinque anni di Edme. Le indicazioni del grande abete, così grande che loro quattro non bastano per cingerlo, arrivano attraverso allegorie vegetali: «Un germoglio così piccolo non dovrebbe star lontano dalle radici della sua famiglia. A meno che la ghiandaia non lo nasconda in uno dei suoi buchi insieme a tanti altri, non può superare la notte».
Non è difficile sciogliere l’enigma, alle quattro Gaia, e scoprire che il bosco ha sempre ragione.