De Gendt l’uomo in fuga, vede Napoli e poi vince
Oggi il Giro all’assalto del Blockhaus, la montagna dove 55 anni fa si rivelò un certo Eddy Merckx
NAPOLI Quella di Thomas De Gendt ingobbito sulla bici che pesta sui pedali è un’inquadratura classica nelle telecronache del grande ciclismo: dove c’è una fuga c’è Thomas, barbuto e fasciato nella maglia biancorossa della Lotto. Fiammingo, 35 anni, De Gendt ieri ha scritto il copione di una tappa bellissima, la sua 426ª in un grande giro come ha ricordato su Twitter: «Ho speso un anno e due mesi della mia vita tra Giro, Tour e Vuelta. Che il ciclismo mi stia sfuggendo di mano?». Della tappa poi ha curato la regia e la vittoria trascinando una fuga nobilissima lungo il circuito del Monte di Procida (pubblico da stadio come nel centro di Napoli, sfida partenopea del Giro stravinta), beffando in contropiede i favoritissimi Van Der Poel e Girmay e battendo in volata tre sodali, tra cui l’italiano Gaburro. Tagliato il traguardo — lui che è una sorta di sindacalista del gruppo — De Gendt non si è tirato indietro quando gli è stato chiesto di precisare la sua posizione sull’arresto cardiaco che ha colpito Sonny Colbrelli in gara: «Come molti di noi — ha spiegato — in primavera Sonny ha avuto una fortissima bronchite. In casi del genere si devono seguire i consigli dei medici: non ci si allena e non si gareggia perché si corrono grossi rischi. Quello che gli è successo mi ha terrorizzato».
De Gendt è uno che dalla bici non scenderebbe mai: ogni anno dopo il Giro di Lombardia (quello che tutte le corse si porta via), invece di volare verso una spiaggia esotica come fanno i colleghi riposa una notte in Brianza e poi imbocca la statale del Sempione per tornare pedalando nelle sue Fiandre (distanti un migliaio di chilometri) con due magliette di ricambio nello zaino.
Ieri in fuga con lui c’era anche il francese Guillaume Martin: il corridore-filosofo che sull’Etna era andato in crisi ha recuperato 3’ sulla testa del gruppo. Ora è 4° in classifica generale dopo Lopez, Kamna e Taaramae e con 40” di vantaggio su Simon Yates, il meglio piazzato dei pretendenti al successo finale.
Oggi è il giorno del Blockhaus, la salita più impegnativa da qui alle Alpi, quella che dovrebbe o potrebbe rivoluzionare il Giro. La si affronta da Isernia, dopo 191 chilometri, oltre 5.000 metri di dislivello e l’antipasto indigesto del Passo Lanciano con i suoi 10 chilometri all’8% di pendenza media. Il Blockhaus, di suo, è una bestiaccia: i chilometri verticali sono 15, la pendenza sfiora il 9% con punte del 14% per un tempo di sofferenza molto vicino all’ora. La Trek-Segafredo difenderà la maglia di Lopez senza massacrarsi: nella scala delle priorità del team una vittoria di tappa di Giulio Ciccone, che corre in casa, vale di più. L’abruzzese dovrà dimostrare di non essere quello intravisto nelle prime tappe, Simon Yates e Richard Carapaz non potranno nascondersi (entrambi si sono mossi bene ma non senza battute a vuoto) per tutti gli altri sarà il primo vero esame dopo nove giorni di corsa.
Sul Blockhaus il Giro d’Italia torna a 55 anni dalla prima volta: nel 1967 vinse un 22enne belga sconosciuto ai più, con un irresistibile allungo a 1.500 metri dal traguardo. Si chiamava Eddy Merckx.