«La mia maglia rosa Lopez, agli antipodi da Pogacar Dopo Nibali c’è il vuoto»
Guercilena,Trek: «Il linfoma uno choc, ma ora mi arrabbio meno»
NAPOLI La maglia rosa è entrata nel suo radar tre anni fa, quando Juanpe Lopez Perez era nessuno («Uno spagnolo talentuoso, da far maturare con calma»), perfetto per la politica della Trek Segafredo («Giovane e da costruire»), agli antipodi dall’anomalia del fuoriclasse bambino («Di Pogacar ce n’è uno solo»). Luca Guercilena da Cassinetta di Lugagnano, 48 anni, brillante manager made in Italy della corrazzata americana, sul lungomare di Napoli coccola il leader del Giro, atteso dalle imboscate sul Blockhaus, con gusto speciale: Juanpe è la miglior bandiera del ciclismo che Luca, alle prese con le terapie di mantenimento di un linfoma, ha in mente.
Si era sentito male al Tour 2021. «Gli esami di rito, dieci giorni dopo la diagnosi terribile. Uno choc. Il periodo peggiore è stato dicembre, quando la squadra è andata in ritiro e io ero bloccato a casa dalle cure. Il rischio depressione, quando si ha una malattia del genere, c’è. Ma non l’ho mai vissuta come una guerra, io contro il male. Ho piuttosto cercato di venirci a patti. Lo sport mi ha regalato una mentalità reattiva e la sopportazione del dolore. Fondamentale la logica dei grand tour: domani c’è sempre un’altra tappa». Guercilena si è commosso quando la Trek ha confezionato le magliette «Forza Luca» («Lì ho capito che qualcosa di buono nella vita l’ho combinato»), è tornato in carovana alle Strade Bianche («Emozionato come al primo giorno di scuola»), da lì non si è più fermato: «Mi incavolo come prima ma il linfoma mi ha insegnato a ridimensionare i problemi». È in grado di parlare con competenza sia di Vincenzo Nibali, il leader che ha avuto in squadra due stagioni («Non è un segreto che sia lui che noi ci aspettavamo di più, ma la pandemia ha fatto saltare tutto gli schemi e comunque una gara, il Giro di Sicilia 2021, l’abbiamo portata a casa») che del futuro che ci aspetta senza lo Squalo. «Sono preoccupato: tra coloro che volevano imitare Pantani e coloro che sognano di emulare la carriera di Nibali è saltata
Manca il ricambio «Ganna da solo non basta, il problema è l’Italia: non sostiene il ciclismo giovanile»
una generazione — spiega —. Il sistema Italia è basato sull’iniziativa dei privati, penso a Basso (Eolo), Savio (Androni) e Reverberi (Bardiani), che devono confrontarsi con Stati sovrani: Bahrain, Kazakistan (Astana), Emirati (Uae). E i marchi nostrani non si sbilanciano: piuttosto che il team, sponsorizzano l’evento. Così non si cresce, e il gap con le squadre World Tour aumenta. Si parla di budget dai 15 milioni in su, 23 di media, poi arriva la Ineos che ne investe 50. Difficile reggere il confronto, frammentati come siamo in tante piccole realtà». E senza Nibali sarà peggio: «Ganna è fenomenale, ma non basta. Un genitore prima di mandare un ragazzino a pedalare sulla strada ci pensa due volte. Va rivisto tutto il ciclismo giovanile, usando il ciclocross come fattore di crescita. Ma in Italia non c’è un interesse governativo a sostenere il ciclismo come elemento culturale». Avanti così, verso il rischio implosione. E allora Luca si gode Juanpe e i messaggi di Contador: buena suerte. Ne servirà parecchia, oggi, lassù sul Blockhaus.