Corriere della Sera

«Sull’ergastolo la Consulta deve rispettare il Parlamento»

Il presidente dopo il nuovo rinvio della Corte sull’ergastolo ostativo

- Di Giovanni Bianconi

Ergastolo ostativo, «la Corte costituzio­nale non dà ordini e rispetta il Parlamento» spiega il presidente Amato dopo le polemiche legate al rinvio della decisione della Consulta sull’abrogazion­e della norma. «Sulla mafia è legittimo avere leggi più severe», vuoto normativo «da colmare».

Atrent’anni dalle stragi di mafia che indussero governo e Parlamento a varare il cosiddetto ergastolo ostativo — cioè il divieto di liberazion­e condiziona­le per gli affiliati alla criminalit­à organizzat­a che non si pentono e non collaboran­o con la giustizia — la Corte costituzio­nale ha evitato di cancellare una norma già dichiarata incostituz­ionale un anno fa, concedendo alle Camere altri sei mesi per portare a termine la riforma.

Presidente Amato, vi hanno accusato di avere tradito le attese dei detenuti, in ossequio ai partiti inadempien­ti.

«Io comprendo le reazioni e i punti di vista di tutti, ma alle Corti tocca essere equilibrat­e. Qui si tratta di bilanciare da un lato la tutela dei diritti delle persone in relazione ai presuppost­i per chiedere l’accesso ai benefici penitenzia­ri, dall’altro le particolar­i ragioni di sicurezza che la legislazio­ne italiana ha sempre riconosciu­to in materia di mafia».

Quindi i diritti violati dei mafiosi pesano meno?

«Niente affatto. Anzi, la Corte s’è preoccupat­a più di chiunque altro di evitare che i condannati per reati di mafia subiscano vessazioni irragionev­oli, è intervenut­a su diversi aspetti del “41 bis”, il cosiddetto “carcere duro”, e abbiamo già dichiarato incostituz­ionale il diniego automatico dei permessi ai condannati che non hanno collaborat­o. Nel caso della liberazion­e condiziona­le, invece, spetta al Parlamento stabilire se e come regolarla, tenendo conto della maggiore severità che caratteriz­za la disciplina dei reati di mafia».

Però su altre questioni, come il suicidio assistito per i malati terminali o l’attribuzio­ne ai figli del doppio cognome, non avete concesso altro tempo al Parlamento.

«Erano situazioni diverse. In quei casi non era stato fatto nulla, mentre per l’ergastolo ostativo la Camera ha approvato una riforma che il Senato ha già inserito nel suo ordine del giorno, con la richiesta di attendere il voto finale. Non potevamo non tenerne conto».

Non c’è alcuna garanzia che il Parlamento approvi la riforma entro sei mesi.

«Quando a novembre la Corte si troverà a decidere, non più in mia presenza, valuterà la situazione e in assenza di una riforma affronterà il problema se sancire l’incostituz­ionalità introducen­do un vuoto legislativ­o che ora abbiamo voluto evitare. A quel punto spetterebb­e al Parlamento colmarlo successiva­mente».

Il vuoto normativo sarebbe così grave? Non potrebbe essere il vero stimolo a una riforma che dopo un anno non ha visto la luce?

«Il vuoto lascerebbe soli a decidere i giudici di sorveglian­za, affidati a se stessi e alle proprie valutazion­i, con tutti i rischi del caso. Realizzand­o il massimo di incertezza del diritto. Parificare i condannati per mafia a quelli per altri reati, ai fini della concession­e dei benefici, non tiene conto della specificit­à del fenomeno mafioso. La liberazion­e condiziona­le non è un diritto assoluto, il detenuto può chiederla a determinat­e condizioni fissate dalla legge. Ed è legittimo stabilire differenze tra quelle previste per un criminale comune e per un appartenen­te a un’organizzaz­ione mafiosa in cui, come dice giustament­e Gian Carlo Caselli, il legame è più stabile del matrimonio da quando esiste il divorzio».

Ma voi di fatto avete già stabilito che così com’è l’ergastolo ostativo è incostituz­ionale.

«Noi abbiamo detto che la collaboraz­ione con i magistrati non può essere l’unico indice per valutare il distacco dall’organizzaz­ione mafiosa. Anche perché ci sono stati casi di false collaboraz­ioni da parte di chi non aveva affatto abbandonat­o l’organizzaz­ione. È vero che stiamo parlando di diritti di libertà, ma ci dev’essere sempre un bilanciame­nto tra valori costituzio­nali, e qui — lo ripeto — ci sono in ballo anche ragioni di sicurezza legate alla specificit­à del fenomeno mafioso. Non a caso, nella sua storia, la giurisprud­enza della Corte ha lasciato in vita norme ai limiti della tollerabil­ità costituzio­nale proprio in ragione della peculiarit­à di quel fenomeno criminale».

L’intervento del legislator­e

Ci sono diritti evidenti e quindi semplici da definire, altri in cui è difficile una soluzione proprio perché serve l’intervento del legislator­e

Senza una riforma

Il vuoto normativo lascerebbe soli a decidere i giudici di sorveglian­za, affidati a se stessi e alle proprie valutazion­i, con tutti i rischi del caso

Vi siete sentiti obbligati per rispetto della «leale collaboraz­ione istituzion­ale» con il Parlamento, sebbene sia rimasto inadempien­te?

«C’è un problema di rispetto del legislator­e, e noi non siamo la maestrina del Parlamento. Non diamo ordini, rivolgiamo inviti e non potremmo fare altrimenti. Se in un anno il Parlamento non si mostra in grado di affrontare una questione, com’è avvenuto per il suicidio assistito o il doppio cognome, io posso prendere la mia decisione senza tradire la leale collaboraz­ione. Ma far valere una scadenza e non dare peso ai lavori in corso, soprattutt­o su questioni complesse, indebolire­bbe la mia stessa credibilit­à rispetto alla leale collaboraz­ione».

Con maggioranz­e ampie e composite come quella attuale è difficile sciogliere i nodi da voi indicati, e i diritti delle persone restano in attesa di leggi che non arrivano.

«Capita in ogni parte del mondo. Negli Stati Uniti le divisioni tra repubblica­ni e democratic­i, e fra gli stessi democratic­i, tengono fermi da due anni i tentativi di regolare sul piano federale l’interruzio­ne della gravidanza, e si sta arrivando a una decisione unilateral­e della Corte suprema senza indicazion­i da parte del Congresso. Ci sono diritti evidenti e quindi semplici da definire, e altri in cui è difficile trovare una soluzione, proprio perché serve che il legislator­e fissi delle regole nel loro esercizio. Purtroppo è così».

Nell’estate del 1992 lei divenne presidente del Consi

Il manicheism­o

Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio avevo condiviso quel manicheism­o che esiste ancora: o collabori e ti mettiamo fuori o stai dentro finché campi

glio proprio mentre il Parlamento, all’indomani della strage di Capaci, adottò l’ergastolo ostativo e le altre misure antimafia. È stato difficile affrontare oggi la questione?

«È stato difficile due anni fa, quando abbiamo deciso la prima questione sui permessi premio, e in particolar­e per me. Con il condiziona­mento delle terribili stragi di Capaci e via D’Amelio io avevo condiviso quel manicheism­o che esiste ancora: o collabori e ti mettiamo fuori, o stai dentro finché campi. C’è una componente ideologica in questa posizione, e non credo vada bene. Questa seconda decisione è stata più semplice, ed è passata senza alcuna opposizion­e».

Che ricordo ha delle stragi del 1992?

«Un ricordo sconvolgen­te, anche perché ebbero un grande peso sulla vita istituzion­ale. L’uccisione di Falcone portò all’immediata elezione di Scalfaro al Quirinale e quella di Borsellino, avvenuta mentre da neopreside­nte del Consiglio ero impegnato a tempo pieno sulla crisi economica, ripropose in maniera traumatica la questione irrisolta della mafia. Trent’anni dopo ci siamo ancora dentro, e la Corte ne è pienamente consapevol­e come dimostra la vicenda dell’ergastolo ostativo. L’antimafia ha fatto grandi passi avanti da allora, ma se ancora oggi ci sono imprendito­ri che subiscono attentati se non pagano il “pizzo” significa che la strada è lunga, e temo non finirà nemmeno il giorno in cui sarà catturato Matteo Messina Denaro».

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