I «confini integri» e le richieste allo Zar Cosa vuole fare Biden
Blinken: «La sovranità ucraina sui suoi territori non si tocca». Il 19 l’arrivo di nuove armi. La linea americana non cambia dopo i contatti con il governo russo
WASHINGTON Non esiste alcuna proposta di negoziato americano che metta in discussione «l’integrità territoriale dell’Ucraina». Il Segretario di Stato Antony Blinken lo ha confermato ieri, in una conferenza stampa, dopo il faccia a faccia a Berlino con il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. La posizione del governo americano non cambia. Era e rimane quella adottata fin dall’inizio del conflitto: gli Usa appoggiano la resistenza di Kiev, ma sarà il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky a decidere se, come e quando aprire il negoziato con Vladimir Putin. Ammesso, e finora non concesso, che il leader del Cremlino sia disposto a discutere seriamente.
Tastare il terreno
Negli ultimi giorni, però, la macchina diplomatica si è rimessa in movimento. Venerdì 13 maggio il Segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, ha telefonato al pari grado russo, Sergey Shoygu. Il capo del Pentagono ha chiesto il cessate il fuoco, ma non ha avanzato alcuna formula su cui trattare. Men che meno, ha spiegato ancora una volta Blinken a Kuleba, uno schema che preveda la rinuncia dell’Ucraina a porzioni, più o meno grandi del territorio. D’altra parte la telefonata tra Austin e Shoygu è durata un’ora, al lordo delle traduzioni: il tempo sufficiente per un confronto di sostanza sulla possibilità di una tregua e sulla necessità di riattivare i canali di comunicazione. Nulla di più, si osserva a Washington. Resta da capire per quale motivo, allora, l’Amministrazione Biden abbia deciso di uscire allo sco
perto proprio in questo momento. L’ipotesi più quotata è che gli americani, d’intesa con Zelensky, abbiano voluto sondare la determinazione dei generali russi in una fase in cui le sorti della guerra appaiono in bilico. L’esercito ucraino sta recuperando terreno a est. Tutti gli scenari, dunque, sono aperti, compreso quello di una catastrofica ritirata russa.
Rassicurazione e armi
Putin, in una conversazione con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ha risposto con un «no» secco all’idea di fermare i bombardamenti. I trenta Paesi dell’Alleanza atlantica ne hanno preso atto. Blinken ha fatto il punto con le ministre degli Esteri di Gran Bretagna e Germania, Elizabeth Truss e Annalena Baerbock, nonché con il direttore generale del ministero degli Esteri francese, Philippe Emera. Scontato l’esito dei colloqui: la guerra continua. Il Segretario di Stato ha anche rassicurato l’ucraino Kuleba. Il flusso di armi proseguirà senza interruzioni, anche dopo il 19 maggio, il giorno in cui dovrebbero arrivare le ultime consegne già programmate. In settimana si attende il via libera del Senato Usa al super finanziamento da 40 miliardi di dollari, di cui 11 in aiuti militari diretti. Il Pentagono prevede che da qui agli inizi di giugno, l’esercito ucraino possa avere a disposizione i mezzi sufficienti per arginare l’avanzata dei nemici. E, nello stesso tempo, tentare la controffensiva nell’Est del Paese.
La partita del cibo
Intanto bisognerà decidere come affrontare l’altra emergenza: sbloccare la vitale esportazione del grano e dei generi alimentari ucraini, liberando una rotta dal porto di Odessa. Gli Stati Uniti hanno deciso di coinvolgere il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che dovrebbe riunirsi a metà settimana. La diplomazia statunitense vuole capire se il pericolo di una crisi alimentare possa indurre Cina (membro permanente del Consiglio), India e Brasile (partecipanti a rotazione) ad appoggiare le pressioni dell’Occidente su Putin. Cosa che non hanno fatto finora. Sullo sfondo ci sono i problemi politici di Joe Biden. Il presidente americano sta gestendo due spinte contrapposte. Gli alleati europei insistono per riallacciare il dialogo con Putin. Ma il Congresso e l’opinione pubblica americana non vogliono concedere più niente. Ieri, l’ultimo segnale. Il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, appena rientrato da Kiev, è giunto alla conclusione condivisa da molti democratici: la Casa Bianca deve inserire la Russia nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo. E con i terroristi non si negozia.