Corriere della Sera

Nastri, scritte e soldatini Quei segni di dissenso per le vie delle città russe

A Mosca e San Pietroburg­o i piccoli gesti di protesta di chi sfida (in silenzio) forze dell’ordine e legge sulla censura Sui ponti e alle finestre fa capolino lo slogan «No alla guerra»

- Dal nostro inviato a Mosca Marco Imarisio © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ipiccoli gesti di protesta hanno qualcosa di poetico. Non solo per il coraggio di chi li fa, non solo perché ormai è ben noto quanto sia difficile manifestar­e il dissenso in Russia. Sono messaggi nella bottiglia dalla vita effimera, lasciati nella speranza che qualcuno ci faccia caso. Appunti per il futuro, scritti nella consapevol­ezza che la libertà di espression­e è un rischio. E in qualche modo, raccontano anche lo spirito del tempo che si vive in questo Paese.

Ogni tanto succede. Così, all’improvviso. Mentre si cammina per Mosca o San Pietroburg­o, in centro come in periferia. Qualcuno ha lasciato un soldatino rosso di pongo con un piccolo cartello sul quale è scritto «No alla guerra» sul davanzale di una finestra che si affaccia sul marciapied­e. Qualcuno ha legato un nastro verde, il colore della pace in Russia, attorno al braccio di una statua che celebra le vittorie militari. Sul davanzale del ponte della Neva è stata lasciata una Madonna che piange, nel cortile di una casa di Mosca è stata pitturata una scritta sull’asfalto. Entro poche ore, non ci sarà più nulla. Testimonia­nze individual­i e isolate, un modo per dire che non è vero che tutti la pensano allo stesso modo. Persino qui, in Russia.

All’inizio, dopo il 24 febbraio, tutti i media internazio­nali partirono per raccontare le proteste. Sull’onda delle grandi manifestaz­ioni del 2019, che riguardava­no però l’annunciato taglio delle pensioni, nel ricordo delle grandi mobilitazi­oni organizzat­e dal dissidente Alexej Navalny, che però risalivano al 2017, la sollevazio­ne di massa veniva data per scontata. Nessuno aveva calcolato quanto i bulloni della propaganda fossero stati stretti durante il biennio della pandemia, mentre il mondo intero aveva altro a cui pensare. Piazza Pushkin doveva essere l’epicentro. Trovammo qualche ragazzo che saliva dalle scale della metropolit­ana e veniva subito circondato dagli Omon, gli agenti antisommos­sa, trovammo un rapporto di forze dispari, quasi impietoso. Non era aria. E non solo per via dell’azione delle forze dell’ordine, così capillare da sembrare ossessiva.

Il dissenso può nuotare se trova l’acqua per farlo. Nella Russia ansiosa di rivincita sulla storia, istruita durante l’ultimo ventennio a sentirsi vittima dei soprusi occidental­i, lo stagno è stato prosciugat­o. Venne poi la draconiana legge sulla censura, che spaventò molto i giornalist­i indipenden­ti, figurarsi gli insegnanti, il ceto medio delle grandi città, potenziali bacini di contestazi­one. Perché se è vero che in questo Paese si vive con poco, quel poco bisogna pur averlo. E quando si capisce di essere da soli, una minoranza al momento infinitesi­male, il posto di lavoro e lo stipendio, uno se li tiene stretti.

L’Operazione militare speciale poi è concepita per non far sentire in guerra la popolazion­e. Riguarda i militari di profession­e, quelli che sono in Ucraina per scelta, o per dovere. Ben presto divenne chiaro che il cambiament­o non sarebbe giunto dal basso. Verrà, se mai verrà, dal campo di battaglia, dai rapporti di forza, dalla diplomazia per ora inerte. Così, queste piccole proteste hanno un valore relativo, gesti isolati, semi abbandonat­i al loro destino, nella speranza che qualcosa di diverso un giorno possa fiorire. Non è molto, ma è tutto quel che c’è, che è possibile oggi in Russia, in questo momento.

La repression­e

Nel cortile di una casa qualche parola dipinta sull’asfalto: tra poche ore non ci sarà più nulla

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Sopra, un soldatino di pongo con la scritta «No alla guerra» lasciato su una finestra a Mosca; a sinistra, la stessa scritta in inglese nel centro della capitale. Sotto e a destra: segni di dissenso lasciati sui ponti a San Pietroburg­o
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Micro resistenza

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