I suprematisti e quelle teorie sul «genocidio dei bianchi»
Ma non si tratta di schegge isolate
NEW YORK La strage nel supermercato degli afroamericani di Buffalo come quella nella sinagoga di Pittsburgh nel 2019, nella moschea di Christchurch in Nuova Zelanda lo stesso anno (50 morti), o il massacro di 23 ispanici in un grande magazzino Walmart di El Paso, in Texas. La causa immediata è sempre la stessa: la facilità con la quale ci si può procurare un’arma da assalto. E anche la matrice è comune: la diffusione delle teorie cospirative del suprematismo bianco, amplificato dalle paure innescate dai movimenti migratori e turbocompresso dai meccanismi virali che dominano blog e reti sociali nell’era digitale.
Nelle 180 pagine del manifesto col quale Payton Gendron ha giustificato il suo attacco feroce è ossessivo il riferimento al «genocidio dei bianchi» e alla «grande sostituzione»: neri, popoli musulmani e ispanici che pian piano invadono l’Occidente emarginando i bianchi, destinati a divenire minoranza oppressa. Nulla di nuovo verrebbe da dire: già nel 1925, nel «Mein Kampf», Adolf Hitler denunciava l’aumento della popolazione di colore della Francia e agitava lo spettro della nascita di una nazione africana al centro dell’Europa.
Anche gli Stati Uniti hanno una lunga storia di teorie su complotti razziali: da Theodore Bilbo, un politico democratico che fu anche governatore del Mississippi e che nel 1947 pubblicò un saggio con l’eloquente titolo «Separati o bastardi», al neonazista David Lane, fondatore del gruppo terrorista The Order, che nel suo manifesto del 1995, «White Genocide», sostenne che mescolanza razziale, aborto e omosessualità indeboliscono la «razza caucasica» mentre
molti governi occidentali, infiltrati dai sionisti, incoraggiano questo genocidio distruggendo la cultura europea bianca.
Estremisti e cospirazionisti sono sempre esistiti, ma come fenomeni marginali, spesso derubricati a manifestazioni folcloristiche, dai terrapiattisti al mondo controllato dalla setta degli Illuminati. Le cose sono cambiate negli ultimi decenni con le tecnologie digitali e l’«effetto eco» delle reti sociali che, per molti, sono un canale per affrontare un problema magari reale ma complesso (come gli squilibri demografici) in modo semplicistico, individuando colpevoli inesistenti e proponendo soluzioni folli.
Così le teorie cospirative, un tempo sostenuti da piccole sette, sono divenute fenomeni di massa con la nascita di movimenti come QAnon: un fattore ormai rilevante anche nel dibattito politico ovunque in Occidente. Di recente la teoria
cospirativa che si è diffusa maggiormente è proprio quella del «Great Replacement»: l’interpretazione della crescita delle minoranze e dei fenomeni migratori come frutto di una congiura degli stessi governi occidentali per spazzare via la cultura e l’egemonia politica dei bianchi.
Proposta in un saggio del 2011 dall’accademico francese Renaud Camus, la Grande Sostituzione ha fatto proseliti nell’estrema destra europea e poi ha varcato l’Atlantico: era la bandiera dei movimenti dei suprematisti bianchi che nel 2017 si diedero appuntamento a Charlottesville per un raduno che finì in tragedia. È stata evocata più volte da Trump quando era alla Casa Bianca ed è il cavallo di battaglia di Tucker Carlson, la star di Fox News, la tv della destra Usa, che accusa Biden di aprire le porte agli immigrati del Terzo mondo per importare elettori democratici.
Il risultato sono le stragi delle schegge impazzite e gli assalti alla democrazia: gli insorti che un anno e mezzo fa hanno invaso il Congresso di Washington hanno detto, in maggioranza, di credere che l’America stia scivolando verso la «Grande Sostituzione».
Teorie cospirative
Un tempo sostenute da piccole sette, sono diventate fenomeni di massa