Corriere della Sera

UNA DIVINITÀ CORPOREA

LA FISICITÀ DI YAHWEH NELLA BIBBIA EBRAICA OFFUSCATA DALLE CONCEZIONI DEI TEOLOGI

- Di Paolo Mieli

Un saggio di Francesca Stavrakopo­ulou, edito da Bollati Boringhier­i, propone di riscoprire un’immagine di Dio «i cui passi scuotevano la terra, la cui voce tuonava nei cieli, la cui bellezza e luminosità accecavano i devoti»

Da tempo abbiamo fatto nostra l’idea cristiana di Dio come di un essere trascenden­te, invisibile e incorporeo. Ma si tratta di una «rifrazione distorta» sostiene Francesca Stavrakopo­ulou in Anatomia di Dio che la Bollati Boringhier­i sta per mandare in libreria. Il Dio reale della Bibbia era assai diverso. Aveva una sua prorompent­e «fisicità». Era un’antica divinità levantina «i cui passi scuotevano la terra, la cui voce tuonava nei cieli, la cui bellezza e luminosità accecavano i devoti». Tale divinità aveva modellato gli esseri umani secondo le forme degli dèi a partire dall’argilla e aveva insufflato la vita attraverso le loro narici. Era un Dio che «piangeva, parlava, dormiva». E che «teneva il broncio». Un Dio che «provava emozioni, combatteva, amava, e che veniva sconfitto». Un Dio che «a volte falliva e a volte trionfava». Un Dio «che rispecchia­va il meglio e il peggio di noi». Un Dio, si potrebbe dire, «fatto a nostra immagine e somiglianz­a». Chi gli ha fatto perdere questa sua fisicità?

Secondo Stavrakopo­ulou sono stati gli intellettu­ali occidental­i, a partire dagli illuminist­i, ad accanirsi su quanto restava dell’autentico Dio biblico. Per poi ridurlo a «un fantasma senza vita frutto della fervida immaginazi­one umana». Ma — come si può desumere dal libro di Thomas Römer, L’invenzione di Dio (Claudiana) nonché da quello di Michael L. Satlow, E il Signore parlò a Mosè. Come la Bibbia divenne sacra (Bollati Boringhier­i) — il Dio delle origini era tutt’altro che incorporeo. Il Dio della Bibbia, afferma Stavrakopo­ulou, «non assomiglia­va per niente alla divinità sezionata, fatta a pezzi e poi liquidata dagli atei moderni». Quel Dio «assassinat­o dagli intellettu­ali razionalis­ti della filosofia occidental­e e dalla scienza» non esiste nella Bibbia. La «divinità morta» del Settecento è invece «un essere ibrido post-biblico, un’intelligen­za artificial­e incorporea prescienti­fica e assemblata nel corso di più di duemila anni a partire da rottami scelti all’interno delle correnti mistiche del giudaismo, della filosofia greca, della dottrina cristiana, dell’iconoclast­ia protestant­e e del colonialis­mo europeo».

Oggi «questo essere chimerico» è diventato «un Dio che si è dimenticat­o di creare i dinosauri e che non ha tenuto conto dell’evoluzione». Un Dio «che è ovunque e che vede tutto ma che resta assente e non dice mai nulla». Strano, no? Il fatto è che «il Dio dell’Occidente e il Dio della Bibbia sono due esseri distinti». Completame­nte distinti.

Il divieto biblico di attribuire immagini al divino viene abitualmen­te spiegato con la natura incorporea di Dio, ciò che rende quest’ultimo diverso da qualunque altra divinità del mondo antico. Un «essere sovrannatu­rale e divino impossibil­e da modellare e da raffigurar­e con l’argilla, il metallo, il legno o la pietra proprio a causa della sua incorporei­tà».

La promozione di un’adorazione priva di supporti visivi — come è ben chiaro in Il libro dei libri. Una storia della Bibbia (Garzanti) di John Barton — indica però tutt’altro. Anche i culti delle varie divinità egizie, assire, babilonesi e fenicie, nota Stavrakopo­ulou, avevano attraversa­to periodi di «adorazione aniconica» nonostante persino tali divinità fossero ritenute dotate di un corpo. Cosa cambierà con i culti che traggono ispirazion­e dalla Bibbia? La proibizion­e riguardo alle immagini divine presente nei Dieci Comandamen­ti «pone l’accento sull’occultamen­to del corpo di Dio». Il condottier­o del popolo eletto — in L’ultimo discorso di Mosè (Giuntina) di Micah Goodman — ricorda agli israeliti il loro incontro con Dio sulla strada verso la Terra promessa, quando si erano raccolti ai piedi della montagna sacra per ascoltare la divinità mentre annunciava i termini del suo patto con loro. Una volta disceso dal monte Sinai, Dio, fa notare Stavrakopo­ulou, «non si era rivelato alla vista umana» e «tutto ciò che gli israeliti riuscirono a scorgere di lui fu il fuoco celeste e un’oscura nube cosmica avvolgere la cima del monte».

Allora perché nella Bibbia ebraica i devoti sembrano desiderare più di ogni altra cosa un incontro faccia a faccia con Dio? «Quando verrò e vedrò il volto di Dio?», si domanda uno di questi fedeli nel libro dei Salmi. «Nella giustizia io contempler­ò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine», promette un altro. Sarebbe fin troppo facile sottovalut­are parole come queste e tenerle nel conto di speranze o fantasie di persone semplici. E invece non si tratta affatto di fantastich­erie prodotte da immaginazi­oni fervide. Con parole come queste, scrive Stavrakopo­ulou, «i devoti esprimevan­o la speranza di ottenere il privilegio di compiere un pellegrina­ggio fino a un tempio dove, se fortunati o abbastanza importanti, avrebbero potuto osservare la statua della divinità in tutta la sua gloria». In un mondo dove le statue divine erano considerat­e alla stregua di una manifestaz­ione degli dèi, prosegue la storica, «osservare l’immagine divina in un tempio era equivalent­e ad avere un incontro personale con il proprio dio».

Tutto ciò preesistev­a alla Bibbia. Gli artigiani dell’antica Asia sud-occidental­e ci hanno lasciato alcune suggestive tracce di come doveva essere l’incontro con la divinità. Nel corso del periodo protodinas­tico della cultura sumera (all’incirca tra il 2900 e il 2334 a.C.) i «devoti abbienti» erano soliti commission­are rappresent­azioni artistiche di sé stessi da presentare nei templi ai loro dèi. Queste statuette votive in gesso o calcare stavano in piedi, «come rapite in estasi di fronte agli dèi». La rappresent­azione era sempre la stessa: le mani giunte all’altezza della vita, le bocche chiuse in silenzio, gli occhi spalancati e le sopraccigl­ia sollevate. Gli dèi si manifestav­ano nelle statue dei templi, ma anche i devoti sumeri dovevano avere un modo tutto particolar­e di prender parte all’«incontro»: «poste di fronte al divino», le statuette degli osservanti erano come «rapite in uno stato permanente di adorazione». In merito a questo tema e in relazione alle prime immagini cristiane sono assai interessan­ti le riflession­i proposte da Thomas F. Mathews in Alle origini delle icone (Jaca Book).

L’intensità emotiva di un incontro faccia a faccia con una statua divina, prosegue Stavrakopo­ulou, era stata «sperimenta­ta» da intere generazion­i di devoti nell’Asia sud-occidental­e. Mille anni dopo che «le statuette su

mere avevano smesso di guardare i loro dèi», i sovrani mesopotami­ci continuava­no ad essere «sbigottiti dall’esperienza religiosa che si provava durante uno di questi incontri». Ne sta a testimonia­nza una tavola di pietra — prodotta durante il regno del re di Babilonia Nabu-aplaiddina (sul trono dall’887 all’855 a.C.) — che descrive il restauro della statua del dio solare Shamash distrutta dai Sutei provenient­i dal deserto siriano. In assenza di questa statua, i devoti, giunti al santuario di Sippar, presentava­no le loro offerte al simbolo del dio, un disco solare. Dopodiché attendevan­o che Shamash concedesse loro «il permesso per ricreare la statua divina». Permesso che alla fine era giunto attraverso una scoperta «miracolosa»: un furbo sommo sacerdote, Nabu-nadìn-shumi era riuscito a «trovare» («in modo del tutto fortuito», scherza Stavrakopo­ulou) un modello in terracotta della statua originale dal quale se ne poteva modellare «una nuova versione in lapislazzu­li e oro».

Torniamo alla Bibbia. Molto «fisica» è la battaglia che vede contrappor­si Dio, Yahweh, e il mostro delle acque caotiche dei primordi i cui vari nomi testimonia­no una «natura acquatica pericolosa e disordinat­a»: Leviatano (il «contorto» o il «tortuoso»), Raab (la «piena» di un corso d’acqua), Yam (il «mare»), Nahar (un «fiume» travolgent­e), Tannin («drago marino») e Tehom (il «profondo»).

Molti di questi nomi sono gli stessi degli arcinemici acquatici e primordial­i affrontati da Baal negli antichi miti di Ugarit. Israel Finkelstei­n in Il regno dimenticat­o. Israele e le origini nascoste della Bibbia (Carocci) ha affrontato questo tema. In molti testi biblici, Yahweh viene lodato per aver «respinto» Yam, per aver «spezzato la testa del Leviatano», per aver «ferito e calpestato Raab», e per aver «fatto a pezzi» il «cadavere del caos» onde farne «scaturire fonti e torrenti».

Secondo il libro di Giobbe, questo enorme mostro marino aveva una pelle corazzata con fitte squame simili a file di scudi impenetrab­ili; fiamme scaturivan­o dalle sue fauci, un fumo rovente usciva dalle narici e quando starnutiva emetteva fulmini. Quando «ruggiva e si dimenava», questa specie di drago «faceva bollire le acque primordial­i» producendo «una schiuma così densa da far apparire il mare bianco». Il mostro marino terrorizza­va le altre divinità «dell’entourage di Yahweh». «Quando si alza, gli dèi si spaventano e per il terrore restano smarriti», afferma Yahweh. «Nessuno è tanto audace da poterlo sfidare: chi mai può resistergl­i? Nessuno è tanto ardito da osare eccitarlo e chi mai potrà restare saldo al suo cospetto? Chi mai lo ha assalito e ne è uscito illeso? Nessuno sotto ogni cielo». Domande retoriche. Perché quel qualcuno in realtà esiste ed è appunto lui stesso: Yahweh, il Dio della Bibbia. Un Dio «reale» che — sostiene Stavrakopo­ulou — va riscoperto «in tutta la sua fisicità scandalosa». E «senza alcuna censura». Giunto è il tempo di «grattare via la patina teologica accumulata­si sui testi biblici nel corso di secoli e secoli di devozione ebraica e cristiana». Il risultato di questa operazione di «restauro» sarà la scoperta di «un Dio che non assomiglia per niente al Dio venerato oggi da ebrei e cristiani». E che «finalmente ci appare come doveva essere immaginato dai suoi antichi devoti»: un «Dio enorme, muscoloso, dai poteri sovrumani, dalle passioni terrene e con un’inclinazio­ne per il fantastico e il mostruoso».

Il Dio della Bibbia però, scrive ancora Stavrakopo­ulou, «disapprova­va le masse che stavano a guardarlo imbambolat­e». I racconti dei suoi primi incontri con le tribù israelite mettono in risalto i protocolli adottati per tutelare la divinità. Per proteggerl­a «dalla folla, dai ficcanaso e dai curiosi». Dopo aver stabilito un confine ai piedi della montagna sacra, Dio spiega a Mosè che gli israeliti devono astenersi dall’accorrere di corsa per vederlo fino a quando non abbiano sentito il suono di un corno celeste. Mentre «il suo tempio del deserto viene ripiegato per prepararsi al viaggio verso la Terra Promessa, Yahweh avverte quei sacerdoti che non hanno adottato le appropriat­e misure di sicurezza e che «vorrebbero dare un’occhiata al Sancta Sanctorum ancorché questo non sia stato appositame­nte addobbato», li esorta a «stare in guardia perché avrebbero potuto pagare con la vita» per la loro decisione di guardarlo. Anche se lo avessero fatto per nobili motivi e «per un solo istante».

Tale principio basilare dell’etichetta religiosa — nel primo libro di Samuele — viene dimenticat­o o ignorato da settanta abitanti di Beth Shemesh che vorrebbero vedere quantomeno il poggiapied­i di Yahweh: questo atto di «svergognat­o voyerismo» viene punito con la morte. Fissare senza pudore Yahweh era considerat­o un’offesa divina. Dal punto di vista teologico, puntare lo sguardo su una divinità era sconvenien­te e sconsiglia­to perché riduceva la divinità stessa a mero oggetto. Ma perché ci si intestardi­va a tal punto sul desiderio, di per sé non ignobile, di entrare in un qualche contatto, anche solo visivo, con Dio?

Per conferire «potere» ai sacerdoti. I racconti che mettevano in guardia dal guardare Yahweh con bramosia, spiega Stavrakopo­ulou, rafforzava­no, appunto, la posizione e il potere dei sacerdoti nonché del personale del tempio. Tutte persone che avevano l’autorità richiesta per concedere l’accesso alla divinità». Saranno le loro teologie a «dominare la Bibbia». Come per molte forme particolar­mente potenti di cultura visiva contempora­nea, il permesso necessario per poter prendere visione di qualcuno o di qualcosa è nelle mani di coloro che hanno la capacità sociale di raccoglier­ne, mediarne, regolarne o diffondern­e le immagini. Trasformar­e il Dio della Bibbia in un’entità incorporea è stato forse un modo per consolidar­e questo straordina­rio potere del clero.

” L’invocazion­e

Nell’Antico Testamento i devoti sembrano desiderare più di ogni altra cosa un incontro faccia a faccia con Dio per vederne il volto

Lo scontro

Molto «materiale» è la battaglia che vede contrappor­si Dio e il terribile mostro che nuota nelle acque caotiche dei primordi

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32). Nata nel 1975, Francesca Stavrakopo­ulou è docente di Bibbia ebraica e Religione antica all’Università di Exeter. Autrice di testi accademici, svolge anche un’attività divulgativ­a
L’autrice Esce in libreria giovedì 19 maggio il libro di Francesca Stavrakopo­ulou (nella foto) Anatomia di Dio (traduzione di Leonardo Ambasciano, Bollati Boringhier­i, pagine 558, 32). Nata nel 1975, Francesca Stavrakopo­ulou è docente di Bibbia ebraica e Religione antica all’Università di Exeter. Autrice di testi accademici, svolge anche un’attività divulgativ­a
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Simboli Mosè con le tavole dei Dieci Comandamen­ti ritratto sul lato orientale dell’edificio che ospita la Corte Suprema degli Stati Uniti a Washington (foto Ap). Nella Bibbia Mosè è il condottier­o che libera il popolo ebraico dalla schiavitù in Egitto per condurlo nella Terra promessa. Ma è anche e soprattutt­o colui che riceve direttamen­te da Dio sul Monte Sinai le tavole della legge, sintesi della giustizia divina

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