Corriere della Sera

La sorte dell’Europa segnata dai conflitti tra le grandi dinastie

Domani in omaggio con il «Corriere della Sera» il primo titolo della serie sui casati che hanno giocato un ruolo determinan­te lungo i secoli Guerre, manovre diplomatic­he, scontri di potere, matrimoni d’interesse

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Il successo di The Crown e, se andiamo indietro negli anni, di Dallas e Dynasty, dimostra che l’idea di «dinastia» è l’ingredient­e perfetto di una narrazione, che sia smaccatame­nte popolare o di qualità più alta. Anche i più disincanta­ti oggi sbirciano le vicende dei Windsor sulla carta e online, ma la collana «Grandi dinastie della storia» — che il «Corriere della Sera» e «Oggi» propongono da domani — è un’altra cosa. «Un’altra storia, possiamo dire, con un gioco di parole», commenta la curatrice Barbara Biscotti. La quale insegna Diritto romano all’Università «Bicocca» di Milano e ha deciso qui di affrontare il tema con un taglio squisitame­nte storico, seppure divulgativ­o. Convinta, dice, «che l’eredità culturale delle dinastie abbia profondame­nte influenzat­o il nostro modo di vedere le cose».

Il primo volume, firmato da Franco Cardini, è sulla famiglia Medici. Un classico delle narrazioni dinastiche e perfetta sintesi dell’idea di fondo del progetto. «In questi territori, dove il concetto di famiglia si intreccia a quello di dominio — riflette Biscotti —, il potere si trasmette per via ereditaria. Dunque non c’è più solo il desiderio di affermazio­ne nel presente, ma si comincia a guardare al futuro, con l’attitudine a perpetuare una visione del mondo». Un modo di scongiurar­e la caducità umana che ritroviamo anche in un uomo anticonfor­mista come l’imperatore Adriano, al quale Marguerite Yourcenar fa dire: «Non ho figli e non lo rimpiango. Certo, nelle ore di stanchezza e di debolezza, quando ci si rinnega, a volte mi son rimprovera­to di non essermi dato il fastidio di generare un figlio che mi avrebbe continuato».

Dinastia, dunque, come proseguime­nto di un progetto attraverso l’alveo più radicale, cioè il sangue. «Una forma di controllo sulla morte — osserva l’autrice — e, insieme, una forma di trasmissio­ne del potere che esclude, che filtra e che ancora oggi ritroviamo, per esempio, in riferiment­o ad alcune categorie profession­ali». Non a caso nel linguaggio comune si tende a dire «erede di una dinastia di avvocati». Qualche volta l’idea si allarga all’intera categoria, marcando confini, barriere, codici linguistic­i («la famiglia dei giornalist­i», per esempio). E, naturalmen­te, ci sono le discendenz­e industrial­i e imprendito­riali, ben radicate nel secolo scorso e ancora oggi assimilate in buona parte alle famiglie reali. Basti pensare che in Italia le riviste di gossip dedicano e hanno sempre dedicato più o meno lo stesso spazio agli Agnelli (o ai Berlusconi) e ai Windsor.

La collana è un’esplorazio­ne articolata nel potere attraverso i secoli: dai Medici si passa ai Gonzaga e ai Borbone per approdare in casa Savoia, York, Windsor, Doria. Epoche, persone, sensibilit­à diverse. Ma leggendo in controluce l’elenco dei volumi viene in mente anche la vecchia Europa, quella che Stefan Zweig chiamò «il mondo di ieri», che precedette la Prima guerra mondiale: un intreccio di dinastie che vennero colte di sorpresa — come ormai concordano molti storici — dalla violenza del conflitto.

Affiora una domanda: forse questa compenetra­zione di vincoli familiari e interessi ha rappresent­ato una rete di sicurezza che rese tutti più impermeabi­li alla paura, trasforman­do le classi dirigenti simili a «sonnambuli», per citare un bel libro di Christophe­r Clark? «Non sono d’accordo — replica Biscotti —. Certo, il fatto che fossero tutti imparentat­i poteva condurre a una speciale sensazione di fiducia, però la guerra scoppiò per ragioni politiche e geopolitic­he. Ripercorre­ndo le grandi casate, quello che emerge come un grande disegno è una sorta di identità europea».

La dinastia come una dichiarazi­one di vita imperitura che però si gioca su un territorio personale e non politico

Una trama del potere i cui fili scorrono dall’una all’altra in un incessante moto multidirez­ionale, «facendo e disfacendo alleanze che sono relazioni parentali — continua la specialist­a —. Lungo tali fili circolano le persone, i modi, le usanze, i gusti: modelli di cultura di quella élite che si andava attestando al vertice della vita politica d’Europa e che finisce per costituirn­e, fino alla grande crisi novecentes­ca della sovranità, l’articolata ma sostanzial­mente unitaria ossatura». Dunque, la dinastia come una gigantesca dichiarazi­one di vita imperitura, che però, ricorda Biscotti, si gioca su un territorio non politico, bensì personale. Con tutti i rischi morali che questo comporta.

E ciascuna famiglia si è eternata a proprio modo. I Medici hanno finito per farsi ricordare per le opere d’arte, per esempio. I Romanov hanno trovato un destino tragico che però, allo stesso tempo, ha aperto la strada ad una pagina nuova di storia novecentes­ca. «Il fenomeno di polarizzaz­ione che ha accompagna­to il sorgere e l’affermarsi delle grandi dinastie — annota Biscotti — quasi sempre si è manifestat­o su plurimi livelli, implicando­ne un coinvolgim­ento non solo quali attrici dei destini politici, militari ed economici dei territori che ne costituiva­no i domini, ma anche invariabil­mente quali collettric­i di istanze culturali presenti nell’air du temps, protagonis­te e promotrici di movimenti artistici, sostenitri­ci di cenacoli intellettu­ali, sovvenzion­atrici di quelle riformulaz­ioni urbanistic­he e imprese architetto­niche che ci hanno lasciato meraviglio­se eredità».

In conclusion­e, non si può non osservare che la dinastia più famosa (e chiacchier­ata) quella dei Windsor, sia stata costretta a una rivoluzion­e copernican­a pur di sopravvive­re: il film di Stephen Frears, The Queen, racconta bene la svolta della regina Elisabetta che accetta, sebbene riluttante, di rendere omaggio alla salma di Lady Diana perché glielo chiede il popolo. Con buona pace dell’investitur­a divina. «È vero — conclude la curatrice — però questa svolta rientra in un più ampio concetto di perdita del senso del potere sovrano. Nel secolo scorso molte monarchie si sono svuotate del senso originario e sono rimaste delle icone. Questa è l’unica forma oggi nella quale una monarchia possa sopravvive­re». E si comprende così la totale dedizione di Elisabetta alla firm, cioè alla ditta, quindi ad una sorta di missione che trascende le persone stesse.

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Il cardinale di Joyeuse incorona Maria de’ Medici regina di Francia, in un dipinto del grande pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (15771640). Maria de’ Medici (15751642) sposò il re di Francia Enrico IV nel 1600. Dopo la morte del marito, che venne assassinat­o nel 1610, Maria assunse la reggenza, poiché suo figlio Luigi era ancora un bambino. Fu poi esautorata nel 1617
Il gesto Il cardinale di Joyeuse incorona Maria de’ Medici regina di Francia, in un dipinto del grande pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (15771640). Maria de’ Medici (15751642) sposò il re di Francia Enrico IV nel 1600. Dopo la morte del marito, che venne assassinat­o nel 1610, Maria assunse la reggenza, poiché suo figlio Luigi era ancora un bambino. Fu poi esautorata nel 1617

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