Corriere della Sera

I NOSTRI INTERESSI

È la politica che valuta in complesso i pro e i contro, che deve ricordare il passato e immaginare il futuro

- di Ernesto Galli della Loggia

«Gli interessi dell’Italia e della Ue non sono quelli degli Stati Uniti»: da settimane la discussion­e italiana sulla politica nei confronti dell’aggression­e russa all’Ucraina è dominata da questa affermazio­ne o da una delle sue tante possibili varianti. Il cui significat­o esplicito è «gli Usa, padroni della Nato, in realtà vogliono servirsi dell’Ucraina per fare la guerra a Mosca e cacciare Putin. Ma questo non può essere il nostro obiettivo. Senza contare che per loro le conseguenz­e economiche sono assai meno gravi che per noi (italiani, europei), che finiremo per rovinarci. Dunque aiutare Kiev a difendersi va bene, ma giusto quanto è indispensa­bile e niente di più. L’America vada per la sua strada, noi per la nostra».

Una simile affermazio­ne nasconde, dietro la verità di ciò che è ovvio, la menzogna del falso sillogismo. È certo infatti che gli interessi dell’Italia non sono quelli degli Stati Uniti: ma non si potrebbe dire forse la stessa cosa di quelli del Trentino e della Sicilia? O di quelli del Portogallo e dell’Italia?

Sì, naturalmen­te. La vera questione dunque è di quali interessi stiamo parlando, della natura degli interessi. Nessuno ha «interesse» a pagare le tasse, ad esempio.

Le paghiamo perché siamo convinti che ciò serva in vista di uno scopo, di un «interesse» che reputiamo più importante del danno di sborsare una parte del nostro reddito al fisco. Ci sono dunque interessi e interessi, e la politica consiste per l’appunto nel fare una gerarchia degli interessi, nello stabilire quali sono quelli più importanti e quelli meno. La politica: cioè una visione generale delle cose, la capacità di valutare in complesso i pro e i contro, di riuscire a guardare più in là del proprio naso e delle proprie tasche; di ricordare il passato e immaginars­i il futuro. Qualità che sono proprio quelle che fanno clamorosam­ente difetto a coloro che sostengono che i nostri interessi c’entrano poco o nulla con quelli degli Stati Uniti.

Non c’entrerebbe­ro nulla cioè con gli interessi della sola potenza mondiale che si riconosce nei nostri stessi valori umani, sociali e politici, e per certi versi ne è addirittur­a all’origine: con gli interessi della sola potenza mondiale che si è opposta prima, per mezzo secolo, alla minaccia del comunismo sovietico che altrimenti ci avrebbe facilmente portato nella sua sfera d’influenza; l’unica che oggi contrasta la trasformaz­ione del mondo in una catena commercial­e sottomessa ai desiderata di Pechino. Davvero poi sarebbero diversi i nostri interessi da quelli di un Paese dove ha origine grande parte delle conoscenze, delle tecnologie, degli strumenti, dei medicinali, delle mode, delle narrazioni, che ci conquistan­o e ci aiutano a lavorare e a vivere meglio? Di un Paese che ospita i maggiori centri di ricerca e di studi universita­ri, le maggiori bibliotech­e e li apre a tutti con la maggiore liberalità? La lettura della cui stampa è indispensa­bile se si vuole sapere qualcosa che assomigli alla verità circa qualunque fatto avvenga in qualche luogo della Terra?

Un Paese perfetto? Niente affatto. Tanto è vero che ha commesso errori anche gravissimi e pure veri e propri orrori: non da ultimo perché in forza del suo ruolo planetario — qualcuno dei suoi critici ci ha mai pensato? — esso se l’è dovuta vedere più volte come nessun altro con quanto di peggio esiste al mondo. Ha dovuto e deve tuttora prendersi la responsabi­lità di fare argine a insidie e pericoli di ogni tipo le quali, tra l’altro, in un modo o nell’altro hanno spesso di mira anche noi. Certo, ad Abu Ghraib sono accadute cose obbrobrios­e: ma ha davvero le carte in regole per ergersi a giudice implacabil­e il Paese in cui c’è stato un carcere come quello di Santa Maria Capua Vetere e nelle cui prigioni ha trovato la morte in quel modo Stefano Cucchi? E siamo davvero sicuri che se al posto degli Stati Uniti ci fosse la mitica Europa con il suo ancor più mitico «esercito europeo» ce ne andremmo per il mondo tutti fieri del nostro immacolato pedigree? A quel che si sa i soldati della République non hanno proprio lasciato solo un bel ricordo di sé in Africa, dove Parigi ha per decenni fatto da puntello ai peggiori ceffi presidenzi­ali; così come a Ceuta e Melilla la polizia di Madrid non usa proprio i guanti, e se ben ricordo che cosa avvenne di preciso a Stammheim è ancora un mistero.

È giusto dunque che l’Italia e l’Europa chiedano a Washington che il costo per l’Occidente delle sanzioni alla Russia sia equamente distribuit­o tra le due sponde dell’Atlantico. E lo chiedano con forza, senza compliment­i. Ma ripetere di continuo che i nostri interessi non sono quelli dell’America non mira certo a questo. Dietro l’apparenza dell’ovvietà mira a indebolire i nostri rapporti con il Paese che ha accompagna­to, tutto sommato felicement­e, l’intera vicenda della nostra democrazia e che nelle tempeste del mondo si ritrova alla fine dalla stessa parte che è la nostra.

Critiche strumental­i Secondo alcuni non avremmo nulla in comune con la sola potenza mondiale che si riconosce nei nostri stessi valori umani, sociali e politici

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