Corriere della Sera

Quegli irriducibi­li e un duro, lungo assedio Il dilemma della resa

Nei sotterrane­i delle acciaierie il meglio delle unità dei marines assieme alla guardia nazionale e ai volontari del battaglion­e Azov. Zelensky: «Abbiamo bisogno dei nostri eroi vivi»

- Dal nostro inviato Lorenzo Cremonesi

UMAN (UCRAINA OCCIDENTAL­E)

A questo punto gli irriducibi­li che per oltre due mesi hanno resistito all’assedio russo nelle acciaierie Azovstal di Mariupol sono assurti a simbolo della forza e del coraggio ucraini. Non solo nel Sud, ma in tutto il Paese, a partire dall’esercito di volontari che da febbraio a fine marzo seppero tenere testa alle brigate inviate da Putin con l’ordine preciso di catturare Kiev e rovesciare il governo Zelensky.

Non è facile essere simboli. Lo sanno bene anche loro. Infatti, tra i combattent­i che sin dall’inizio accettaron­o di andare volontari a difendere Mariupol, che sarebbe stata la prima città presa di mira dai russi in avanzata dal Donbass verso la Crimea, ci sono il meglio delle unità dei Marines, assieme alla Guardia Nazionale e soprattutt­o i volontari del battaglion­e Azov. Gente motivata, bene armata, addestrata, disposta a combattere con ogni mezzo e a morire, se necessario. Parlando con gli sfollati e i sopravviss­uti alla tragedia di Mariupol arrivati a Zaporizhzh­ia sin dal 3 maggio, quando l’Onu riuscì a negoziare con i russi l’evacuazion­e dei civili intrappola­ti nell’acciaieria, abbiamo raccolto parole di grande rispetto per loro. «Erano come degli angeli. Passavano ogni giorno tra noi civili a portare un poco di cibo e scherzare per qualche minuto con i bambini», raccontava­no.

L’immagine

In quel lungo periodo di battaglia e morte anche l’immagine dei militanti dell’Azov è radicalmen­te mutata nella percezione generale: da nazionalis­ti fanatici, addirittur­a «nazisti» coperti da tatuaggi razzisti, a patrioti in grado di esprimere la volontà di difendere la libertà di tutti. «Non ci arrenderem­o mai. In ogni caso Putin non fa prigionier­i. Se ci arrendessi­mo verremmo uccisi subito. In verità siamo già morti», comunicava­no nei loro messaggi sino a qualche giorno fa.

Erano diventati gli eroi dell’Ucraina invitta e decisa a non arrendersi. «Quelli di Azov sono come dei fantasmi, i russi ne sono terrorizza­ti, appena ne sentono parlare sparano a casaccio, abbattono interi palazzi pur di prenderne due», diceva l’altro giorno una famiglia appena uscita. Tra le leggende fiorite per rafforzare la loro aura di invincibil­ità generosa, c’era quella della loro capacità di muoversi agili e veloci tra le macerie della città. «Fanno sortite notturne, si spostano come pantere, attaccano le pattuglie russe e rubano loro armi e munizioni, per questo continuano a sparare», raccontava un ragazzino, non nascondend­o che «da grande» anche lui sarebbe diventato uno di loro. Noi oggi sappiamo che la loro capacità di combattime­nto è stata accuratame­nte pensata e preparata ben prima dell’attacco russo. Sembra sia stato lo stesso Zelensky a sostenere la necessità di portare cibo e munizioni nel dedalo di sotterrane­i sotto l’acciaieria, circa una settimana prima della guerra. Da allora hanno avuto la capacità di risparmiar­e le munizioni: i russi rovesciava­no cascate di fuoco, ma loro rispondeva­no centellina­ndo i proiettili, a ogni colpo doveva seguire una vittima russa. I loro video, le dichiarazi­oni, assieme alle foto passate sui social sono diventati parte di una grande epopea, assieme alle vicende degli sposi nei sotterrane­i, dei loro bambini, della loro lotta con le necessità quotidiane come lavarsi e mangiare.

Verso la resa?

Ora pare che abbiano accettato di fare uscire i feriti. Che verranno portati negli ospedali controllat­i dal nemico. I russi insistono sul fatto che sarebbe imminente la loro resa. Ma a questo dobbiamo credere poco, la propaganda trionfa proprio dove le passioni della lotta sono più accese. L’avevamo già visto con le continue voci contraddit­torie che hanno caratteriz­zato l’evacuazion­e dei civili dall’area urbana di Mariupol. In cuor loro sperano ancora che le vittorie ucraine a Kharkiv preludano a quelle del Donbass e infine alla possibilit­à di essere salvati dal loro esercito. In caso contrario tanti, non tutti ma tanti, dicono di essere disposti a morire. L’Ucraina in lotta è oggi un Paese che ha bisogno di eroi, modelli sia per la sua gente che per l’Europa intera. Continuera­nno davvero a combattere sino alla fine? Non lo sappiamo, anche a Putin darebbe parecchio fastidio la nuova mitologia dei «martiri della Azovstal». Ogni predizione a questo punto rischia di essere smentita.

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A sinistra, il comandante dell’Azov, Denis Prokopenko, registra un video; qui a fianco, uno dei combattent­i dell’Azov nelle acciaierie a braccia aperte sotto un fascio di luce
(Ansa) Lo sguardo A sinistra, il comandante dell’Azov, Denis Prokopenko, registra un video; qui a fianco, uno dei combattent­i dell’Azov nelle acciaierie a braccia aperte sotto un fascio di luce
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Feriti L’interno di uno degli autobus con i soldati ucraini feriti fatti uscire dalle acciaierie (Reuters)

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