«Contatti con Mosca per paura del nucleare Presto per i negoziati»
Taylor: un canale come nella Guerra fredda
Gli Stati Uniti «non hanno iniziato una trattativa con la Russia». La telefonata tra Austin e il ministro russo Shoigu? «Era importante ristabilire il contatto tra Washington e Mosca: c’erano state troppe chiacchiere sul nucleare».
William Taylor, 74 anni, è stato l’ambasciatore americano a Kiev dal 2006 al 2009, rappresentando le Amministrazioni di George Bush e di Barack Obama. Poi ancora nel 2019-2020, come «incaricato d’affari» per conto del governo di Donald Trump. Il Dipartimento di Stato lo sta consultando regolarmente, dall’inizio della crisi.
Gli Usa hanno rimesso in moto la diplomazia?
«Non mi pare proprio. Non vedo le condizioni per farlo».
E la telefonata del Segretario alla Difesa
Lloyd Austin a Shoigu?
«Una mossa a sorpresa. Ma non è l’inizio di un negoziato. Il governo americano non si muoverebbe in autonomia senza coinvolgere direttamente gli ucraini. Questo punto è pacifico e condiviso da tutti nell’amministrazione Biden. Austin ha chiesto ai russi se erano pronti a interrompere i combattimenti. Anche gli ucraini erano d’accordo. A Washington sta crescendo l’impressione che l’offensiva dei russi nel Donbass sia destinata al fallimento. Anche se, dall’altra parte, la direttrice della National Intelligence, Avril Haines, avverte che la guerra potrebbe durare a lungo. Tuttavia, all’atto pratico, entrambi gli scenari sono compatibili con l’iniziativa di Austin: ai russi converrebbe fermarsi ora».
Non è un modo per avviare una
trattativa?
«Se guardiamo alla sostanza, la risposta è no. Per negoziare serve una proposta. E gli Usa, deliberatamente, non ce l’hanno. Tocca a Zelensky e a Putin fissare le condizioni di partenza. Austin, invece, ha anche un’altra preoccupazione. Nelle ultime settimane, da Mosca sono arrivate troppe dichiarazioni in libertà sull’uso delle armi atomiche. Il capo del Pentagono voleva riaprire un canale stabile di comunicazione con i russi. Così come accadeva negli anni della Guerra fredda con l’Unione sovietica».
Gli europei insistono: bisogna fare il possibile per arrivare al negoziato. Si allargherà la distanza con l’atteggiamento di Biden?
«È possibile. Francia, Germania e Italia stanno spingendo molto. Ma gli Usa sono molto riluttanti a impegnarsi direttamente. Il punto centrale è che Biden non vuole assolutamente apparire come il regista di questa operazione a livello internazionale. E credo che il segretario di Stato, Antony Blinken, lo abbia spiegato bene ai partner europei nel vertice Nato dell’altro giorno a Berlino. Come dicevo, gli Usa asseconderanno la volontà di Zelensky. E il leader ucraino ha messo in chiaro che non rinuncerà ad alcuna parte del territorio nazionale per arrivare a un accordo. Mi è sembrato un messaggio rivolto soprattutto agli europei».
Biden, quindi, manderà sempre più armi a Kiev. Conta anche il fatto che la politica americana è compatta, a differenza di quella europea?
«Certo, conta moltissimo. Nel Congresso c’è uno schieramento bipartisan che sostiene la resistenza ucraina. La Casa Bianca aveva chiesto un finanziamento da 33 miliardi di dollari per altre armi e aiuti umanitari. Camera e Senato ne metteranno a disposizione 40. Però vedo che anche gli europei sono pronti ad aumentare il loro contributo. Quindi su questo aspetto cruciale, il fronte occidentale resterà compatto».