McDonald’s se ne va dopo 32 anni
La catena chiude 850 ristoranti Il primo, nel 1990, richiamò trentamila persone in coda nel gelo
Se la Pepsi, arrivata in Urss nel 1971, era stata il simbolo della Guerra fredda, McDonald’s fu nel 1990 il segno della totale apertura alla democrazia e all’economia di mercato decisa da Mikhail Gorbaciov. Ora, dopo 32 anni, la società americana del Big Mac abbandona la Russia che inizia una nuova era, quella della chiusura, del conflitto permanente con l’Occidente, dell’autarchia. Almeno per il momento. McDonald’s chiude tutti i suoi 850 ristoranti e se ne va. Gli edifici, i macchinari e, si spera, i dipendenti passeranno a un imprenditore russo che però non potrà usare gli archi dorati simbolo del colosso americano. Una perdita superiore al miliardo di dollari. Ci hanno pensato a lungo a Chicago dove già all’indomani dell’invasione dell’Ucraina avevano sospeso tutte le operazioni nei due Paesi in guerra, pur continuando a pagare gli stipendi ai dipendenti.
In realtà un centinaio di negozi in franchising hanno continuato a funzionare da marzo, ma ora saranno costretti a chiudere o a cambiare. È probabile che i russi ai quali passerà la catena si inventeranno qualche cosa. Come è avvenuto nella repubblica autonoma di Donetsk dove McDonald’s ha chiuso nel 2014. Immediatamente è nato Donmak con un’insegna simile e prodotti fotocopia. Rimangono aperti Burger King (che si fa in continuazione pubblicità in tv) e Kfc-Kentucky Fried Chicken. Hanno chiuso Pepsi Cola e Starbucks.
L’apertura del primo ristorante a piazza Pushkin a Mosca fu un evento clamoroso, con più di trentamila persone in fila in una gelida giornata di gennaio del 1990. Le frontiere si stavano aprendo, Gorbaciov aveva lanciato da tempo la sua perestrojka, ma avere a Mosca un posto dove comprare merce straniera in rubli e non solo in valuta pregiata come avveniva da sempre negli appositi negozi per stranieri (e per la nomenclatura) era un evento. Altro che i Beriozka, dove i russi tiravano fuori speciali buoni e facevano quasi finta di provenire dall’Occidente.
Per lunghissimo tempo la coda per ottenere un semplice cheeseburger è rimasta chilometrica e così parecchi ragazzi intraprendenti si inventarono un mestiere nuovo di zecca. Si mettevano in coda e arrivati alla cassa acquistavano una dozzina di panini (c’era una specie di razionamento, per evitare gli accaparramenti). Poi risalivano la fila e vendevano gli hamburger a chi poteva permettersi di pagare un piccolo extra per avere subito la possibilità di trasferirsi per pochi minuti in un altro mondo: carne tenera e pane mai visto in Russia; il tutto avvolto in carta finissima, assolutamente insolita e poi messo in buste che venivano religiosamente conservate per andare poi a caccia di qualsiasi prodotto si rendesse disponibile in uno degli spogli magazzini sovietici. Allora tutti i russi giravano sempre con una sporta vuota (ma anche una busta di plastica o un contenitore qualunque) denominata avoska («non si sa mai») da usare se ci si imbatteva in qualcosa che appariva all’improvviso in un negozio e che terminava regolarmente dopo che il passaparola si era diffuso.