Corriere della Sera

Giustizia, flop dello sciopero Meno del 50% di adesioni

A Milano il 36%, il 40 a Roma. Santalucia (Anm): da noi una richiesta di ascolto

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

MILANO La crepa. E poi la voragine. La crepa in una marmorea colonna della (perciò chiusa per sicurezza) Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano evita che risalti la rarefazion­e della cinquantin­a di toghe traslocate nella piccola saletta-avvocati per l’assemblea di spiegazion­e (con il presidente Giuseppe Santalucia) delle ragioni dello sciopero, il primo dopo 12 anni, indetto dall’Associazio­ne nazionale magistrati contro la riforma dell’ordinament­o giudiziari­o approvata dalla Camera e ora in esame al Senato. Ma la crepa diventa voragine quando in serata arrivano i dati veri (le trattenute dello stipendio, anche di chi magari era in udienza per non rinviare un processo), e nemmeno raggiungon­o la quota-salvezza del 50%.

Scioperano molto le toghe giovani e i piccoli uffici (picchi del 90% a Busto Arsizio e Nola, 73% il distretto di Bologna), ma pochissimo i magistrati più anziani e le sedi grandi (in Cassazione baratro al 23%, Milano città il 36%, Roma il 40%, l’intero distretto milanese appena sopra il 50% come Napoli, Palermo e Reggio Calabria), sicché lungo questa faglia generazion­ale e territoria­le la media nazionale si arresta al 48% dei 9.149 iscritti all’Anm. Abissalmen­te lontano dall’80% dello sciopero nel 2010 all’epoca del governo Berlusconi-Alfano, e dal 68% nel 2002 contro la riforma Berlusconi-Castelli: e se l’Anm si sforza di ritenerlo «comunque importante in un contesto molto difficile», per il deputato di Azione, Enrico Costa, è «un prevedibil­e flop: pensavano di superare il 90%, arrancano sul 50%. Ora il Parlamento vada avanti senza indugio». Gonfiano le mancate adesioni sia chi critica la riforma ma non condivide lo strumento dello sciopero, sia chi sfiduciato pensa che per limitare i danni restino solo i decreti attuativi della legge delega, sia chi al contrario taccia l’Anm di essere timida e tardiva. «Non è una protesta per motivi sindacali — tiene a rimarcare Santalucia all’assemblea di Milano perno tra le molte in Italia —, ma una richiesta al Parlamento di ascolto dei motivi del disagio per una riforma che non migliorerà il servizio ai cittadini, e che guarda ai magistrati con sospetto», facendone bersaglio di «sentimenti di rivalsa» e caricatura «di chi non vor rebbe farsi valutare, quando quello che invece non vogliamo è un giudice intimorito» da un assetto ordinament­ale «forse non incompatib­ile con la Costituzio­ne ma certo non conforme alla Costituzio­ne».

Tra i tanti intervenut­i capita che, a distanza di pochi minuti, proprio il pm che venerdì chiedeva di processare il presidente della Regione Lombardia, e la giudice che lo ha invece prosciolto, additino i medesimi rischi del legare la carriera a «gravi anomalie» statistich­e nella conferma dei provvedime­nti nei successivi gradi (parametro da anni esistente solo ai fini della valutazion­e della capacità di argomentar­e in maniera coerente con la funzione dell’atto). «Questa riforma — dice il pm Paolo Filippini — eleverà la mediocrità a eccellenza: come un manager studia le quote di mercato dove investire risorse, così un pm, se in testa gli si inserisce un conflitto di interessi implicito, e cioè il pensiero di quanto possa risultargl­i nocivo avviare una indagine, guardando l’armadio zeppo di fascicoli tenderà a proporre al giudice soltanto quelli profession­almente vincenti, e a evitare invece quelli con performanc­e di successo basse come i reati dei colletti bianchi. Con il risultato che, a Costituzio­ne invariata sull’obbligator­ietà

«Parlamento avanti»

Costa (Azione), sostenitor­e della riforma: avanti senza indugio in Parlamento

dell’azione penale, si introdurrà surrettizi­amente una discrezion­alità che renderà la giustizia debole con i forti e forte con i deboli». «È incredibil­e nella riforma — rincara la gip Chiara Valori sul procedimen­to disciplina­re a cui sarà esposto il giudice che non ottemperi le direttive del dirigente sui programmi di gestione dei fascicoli — il continuo sovrappors­i e intersecar­si tra il piano organizzat­ivo dei processi e il piano del merito dei processi, attraverso l’idea di inseguire la riduzione dei tempi e del’arretrato usando le leve del rendimento numerico e della minaccia disciplina­re».

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(Ap) La scelta Magistrati di Cassazione in toga di ermellino. Tra loro, pochi in sciopero

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