LE PATRIE DEL MARE
Il Giro unisce le coste di Abruzzo e Marche Ogni zona ha il suo brodetto di pesce. I confini? Cipolle, dialetti e un Rinascimento
A volte per segnare un confine basta un rametto di maggiorana o uno spicchio d’aglio. Per dire, Pescara e Vasto sono separate da una settantina di chilometri e da un bulbo di cipolla: per i vastesi ogni genere di soffritto contamina la purezza del loro brodetto di pesce fatto rigorosamente di pomodoro e pescato, mentre i pescaresi ci mettono anche (bestemmia!) l’aceto.
Se pensiamo che la costa abruzzese-marchigiana non è suddivisa tanto in province quanto in brodetti differenti, si capisce perché certi montanari abruzzesi, quando parlano dei conterranei della costa, scuotono la testa e commentano «’lli mattarill ju lu mar’», cioè quei pazzerelli che abitano sulla spiaggia. Pescatori, piccoli e grandi imprenditori, artigiani estrosi, barcaioli: la costa illuminata dai tramonti e dalle ombre serali dei trabocchi è un’altra storia rispetto all’entroterra. È l’eccentricità di D’Annunzio contrapposta al rigore di Silone, è la battuta salace di Flaiano che si scontra con l’ascetismo dei celestini di Sulmona. E così il brodetto smette di essere una banale zuppa di pesce e si arricchisce di sfumature odorose a seconda della zona, cambia nome con un’orgogliosa impennata dialettale, addirittura cambia liturgia di preparazione.
A Vasto (per inciso, la città si è più volte autoproclamata patria del brodetto) si dice «lu vrudàtt» ed è un altro paio di manici: quelli della «tijella», il tegame, che va coperto e il pesce non va mescolato bensì ruotato, prendendo il coccio per i manici. A Pescara il nome si addolcisce in «brudett», si arricchisce di varianti estrose come il peperone secco e fa da riverbero a una città attraversata, nei secoli, dalla modernità. D’Annunzio, Michetti, i Cascella: Pescara ha sempre coltivato i «guizzi», quasi a staccarsi dal resto dell’Abruzzo come un’enclave dell’anima adriatica. Resta il fatto che uno come Marco Verratti, quando torna a casa e lascia in valigia la gloria del Paris Saint-Germain, si mette a giocare a carte con i compaesani di Manoppello. Altra cosa ancora è la costa teramana. A Giulianova si dice «lu vredòtte» e la bellezza di questa piccola città dal lungomare elegante è che alla mattina presto si esce e si trovano già i pescatori pronti a catturare triglie, tracine, gallinelle e altro pesce povero che si trova solo da Trieste in giù. A mano a mano che ci si avvicina alle Marche, però, il brodetto si fa più denso, aumentano le fette di pane abbrustolito e il dialetto evoca inflessioni umbre, laziali o addirittura toscane a seconda delle zone. Le Marche hanno vissuto un vero e proprio Rinascimento anche grazie alle corti, a differenza dell’Abruzzo, orgogliosamente legato ad una figurazione medioevale.
E così nelle Marche sono fioriti decine e decine di musei, come per esempio Villa Colloredo Mels a Recanati, che vale una visita anche solo per le quattro opere di Lorenzo Lotto, tra cui la famosa Annunciazione. La storia del pittore veneziano, più volte umiliato da Tiziano, che vaga per la penisola approdando definitivamente nelle Marche, nella Santa Casa di Loreto (dove morì da oblato) conferma il peso culturale che aveva in passato questa regione e che la leggenda di Giacomo Leopardi ha venato di filosofia. La verità è che c’è una differenza abissale con l’Abruzzo, nonostante la prossimità: la bellezza abruzzese bisogna andarla a cercare nella sua essenzialità così disadorna da sconfinare nella durezza (l’abusato «forte e gentile» è tremendamente vero). Non nel ricamo, ma nell’ordito e questa concretezza ha sedotto e seduce decine e decine di intellettuali che scelgono la frugalità delle zone dell’entroterra. La bellezza marchigiana ha la finezza di un merletto, vive nei suoi borghi ricamati (come Jesi, punto d’approdo di questa tappa) e nella forza del racconto: qui anche i cappellai di Montappone sono riusciti a diventare un cult. E a Fano hanno finito per inventare un Festival del Brodetto. Ah, Porto Recanati si è spinta fino all’eliminazione del pomodoro: non è una scissione territoriale, ma quasi.
A Pescara si dice «brudett» a Giulianova «vredòtt» E quando si sconfina in terra marchigiana la zuppa si addensa. Così si vede la differenza tra le due regioni vicine: l’essenzialità da una parte e l’enfasi dall’altra