La grande sfida: il rilancio del cinema
Tornato al suo tradizionale appuntamento di maggio (dopo aver dovuto saltare l’edizione 2020 e spostare quella scorsa a luglio), il festival di Cannes deve misurarsi con una doppia sfida. Non solo quella, implicita, per conservare lo scettro di più importante festival cinematografico, confermando la sua forza d’attrazione di fronte alla produzione mondiale. Ma anche quella, forse inattesa ma non meno cogente, che vede riversare su Cannes le speranze di ripresa di tutto il mondo del cinema. Francese e forse non solo. La prima sfida, il delegato generale (leggi: direttore) Thierry Frémaux l’ha affrontata facendo ricorso ai valori sicuri del cinema d’autore che ad ogni edizione sembrano destinati a crescere di numero. Così, accanto ai fratelli Dardenne o a David Cronenberg, al giapponese Hirokazu Koreeda, al rumeno Cristian Mungiu, al coreano Park Chan-wook, ecco il ritorno del polacco Jerzy Skolimowski, del francese Arnaud Desplechin, dello statunitense James Gray, dell’italiano Mario Martone, lasciando agli altri selezionati (con nomi non certo minori) il compito di sorprendere e di meravigliare. Ma è forse pensando all’altra sfida, quella di ridare forza a un cinema che anche in Francia sta segnando il passo (anche se con numeri meno tragici che in Italia: là hanno una perdita di pubblico intorno al 30/35 per cento mentre da noi siamo oltre il 60), che si può capire meglio cosa cerca Cannes e dove vuole arrivare. Sforzandosi di trasformare anche le serie tv in «prodotti da sala» (quest’anno Esterno notte di Bellocchio e Irma Vep di Assayas) Frémaux cerca di fare del festival, e del suo in particolare, un dispositivo capace di ridare ai prodotti pensati per altri media o per pubblici diversi il marchio della qualità cinematografica, quell’imprimatur capace di attrarre il pubblico nei cinema, che si proietti Top Gun: Maverick o Pacifiction di Albert Serra, due titoli che più lontani non potrebbero ma che Cannes ha accolto entrambi sotto l’etichetta «Sélection Officiel». Senza farsi troppe domande, ma imponendosi di dire che tutto quello che arriva sul tappeto rosso della Croisette merita l’onore della sala buia.