Corriere della Sera

Moro porta la croce come Gesù Tutte le invenzioni di Bellocchio

«Serie non ideologica, rispetto la famiglia». Andreotti perfido, Cossiga «bipolare»

- Valerio Cappelli

CANNES Aldo Moro porta la croce come Gesù, con tutti i notabili della Democrazia Cristiana che pregano dietro, sul Dies Irae di Verdi. Col volto di Fabrizio Gifuni, quella via Crucis è una delle immagini più dirompenti della serie Esterno Notte che Bellocchio porta al Festival di Cannes (5 ore e 20 minuti suddivise in due parti, la prima dal 18 nelle sale per Lucky Red, la seconda tre settimane dopo; poi in autunno su Rai 1).

Arrivano immagini lontane fra loro, unite da un filo misterioso, nel corso del racconto si sommano punti di vista diversi, si torna indietro nella vicenda, in un intreccio di verità e invenzione. Moro ringrazia le Brigate rosse per essere in vita. Vivo dunque, si riparte dove era finito Buongiorno, notte, il capitolo precedente del 2003 che Bellocchio dedicò al sequestro delle Br, avvenuto il 16 marzo 1978. Se lì c’era il chiuso della prigionia, qui c’è il fuori, l’esterno. «La serie è molto meno ideologica, perché è passato dell’altro tempo, non c’è il perdonare tutti ma nemmeno l’odio verso nessuno, e mi spiace chi ha interpreta­to tutto ciò come accaniment­o di avvoltoi sui ricordi tragici di quegli anni». Maria Fida Moro, la figlia, tempo fa prese le distanze. La replica del regista: «Lei pensa che del papà nessuno debba parlare, che sia un suo possesso. Io non sono d’accordo. Ho trattato la famiglia Moro col massimo di amore e rispetto».

L’unico veramente perfido è Andreotti, allora premier, fautore della linea della fermezza, che dice: «Io non lo riconosco, non è in sé, lo Stato non può rimetterci la faccia». La moglie Eleonora, col volto di Margherita Buy (ingrigita, le borse sotto gli occhi), a Paolo VI (Toni Servillo), confida: «Sono venuti tutti a farci visita, tranne Andreotti».

E Moro confessand­osi prima dell’esecuzione, Andreotti lo liquida così: «Lo odio, è il regista di questa vicenda, è uno freddo, impermeabi­le, mai un dubbio, un momento di pietà, verso quest’uomo che ha fatto il male ho avuto una irriducibi­le diffidenza». Il cosceneggi­atore Stefano Bises: «Moro di Andreotti ha un disperato bisogno, però da lui se lo aspetta…E’ arrabbiato invece con Zaccagnini, con gli amici di partito». Cossiga, per Moro «a cui doveva tutto», diventa «un ingrato, ma ha l’attenuante che è bipolare, se ne potrebbe chiedere la seminfermi­tà in un processo». Col prete, Moro si appresta a spogliarsi del corpo: «Sembra che tutti siano d’accordo nel condannare a morte un professore di diritto da una giuria che non riconosce le nostre leggi. Tutto grottesco, sbagliato. Sarei pazzo se non volessi vivere, non voglio morire senza aggrapparm­i alla vita.

Ho rinunciato a tutte le cariche, perché dovrei rinunciare anche alla vita?». La serie è piena di fatti veri, verosimili, romanzati, inventati. I cadaveri di Moro e dei cinque agenti di scorta uccisi lungo il fiume, che tornano a galla, «è stato un sogno della brigatista Adriana Faranda. Eleonora Moro con la catena davanti a Montecitor­io, lo scrisse lei stessa: potrei incatenarm­i».

C’è il rapporto compromess­o tra Moro e Cossiga con le loro mogli, «è una diversa infelicità domestica, Moro dice che il loro mestiere è una missione»; la Buy dice: «A volte gli darei uno schiaffo».

C’è l’ambiguità del capo della Digos Spinelli (Piergiorgi­o Bellocchio). C’è Berlinguer in formato francoboll­o: «Ma nessuna censura, io sono libero. Piuttosto è incredibil­e che le istituzion­i, il Vicariato e il Parlamento, non ci abbiano dato il permesso di girare, pur essendo un film rispettoso. Moro è stato un vero riformista, la statura dei politici di oggi? Non è che chi fa politica sia demente, magari tra 30 anni si parlerà bene di Di Maio». Bises: «Ci interessav­ano i sentimenti, è un racconto emotivo più che politico, nessuna pretesa di raccontare il caso Moro, pieno di buchi».

Moro vivo è un’illusione, una provocazio­ne della fantasia.. «La possibile liberazion­e di Moro e quindi l’immaginare che dalla Renault rossa ne uscisse vivo, era legata al suo memoriale, che mi ha ispirato così come lo spettacolo teatrale di Fabrizio Gifuni. C’è questo passaggio misterioso in cui ringrazia le Br per avergli salvato la vita, A noi piaceva come una possibilit­à più che sorprenden­te. Ho incontrato Mario Moretti, mi colpisce che prima cucini per Moro e poi lo uccida».

Gifuni dice, ripensando al funerale di Stato, senza il feretro, tre giorni dopo quello in forma privata come da volontà dello statista Dc: «Sono i funerali che il paese fa a sé stesso, e a cui Moro si sottrae, era l’unico modo per difendersi, la rappresent­azione plastica di un lutto nazionale che non lo riguardava». Bellocchio si è affidato «all’istinto» e si è lasciato sorprender­e, lo spettatore ne uscirà turbato. «Lo sguardo di Marco – dice Servillo – affrancand­osi dalla sola testimonia­nza regala un’avventura conoscitiv­a e ci fa riflettere con originalit­à e autonomia di pensiero».

Il funerale diventa quello di una classe politica che lo abbandonò. Polemiche in vista, Bellocchio? «Io non le cerco, poi vedremo. Una volta si diceva che servivano a fare andare la gente al cinema».

Il brigatista

«Ho incontrato Mario Moretti: mi colpisce come si possa cucinare e poi uccidere»

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5 ore e 20 minuti suddivise in due parti, la prima dal 18 maggio nelle sale per Lucky Red, la seconda tre settimane dopo; poi in autunno su Rai1
Paolo VI e la vedova Toni Servillo nei panni di Papa Montini e Margherita Buy (Eleonora Moro) in una scena di «Esterno notte»: 5 ore e 20 minuti suddivise in due parti, la prima dal 18 maggio nelle sale per Lucky Red, la seconda tre settimane dopo; poi in autunno su Rai1
 ?? ?? Esterno notte Fabrizio Gifuni interpreta Aldo Moro nella serie «Esterno notte»: lo statista democristi­ano fu rapito dalle Brigate rosse il 16 marzo ’78
Esterno notte Fabrizio Gifuni interpreta Aldo Moro nella serie «Esterno notte»: lo statista democristi­ano fu rapito dalle Brigate rosse il 16 marzo ’78

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