«Cosa sarà di loro? Temiamo li torturino o li uccidano»
Siamo in ansia per il fatto che sono stati evacuati in territorio controllato dai russi, siamo molto spaventati per ciò che può succedere
HSiamo preoccupati per come i nostri cari verranno trattati, non sappiamo se riusciranno ad arrivare vivi al momento dello scambio
anno inviato lettere ai leader mondiali, organizzato sit-in, viaggiato a Roma per incontrare il Papa e raggiunto la Turchia per supplicare Erdogan. Dopo settimane di grande mobilitazione per tentare di salvare la vita ai loro uomini, ora si sono fermate, non fanno più nulla. E certo non perché considerino raggiunto l’obiettivo: speravano in una soluzione diversa, come l’evacuazione in un Paese terzo e non che finissero alla mercé delle autorità di Mosca. Mogli, compagne, madri e sorelle dei combattenti usciti dall’acciaieria di Mariupol aspettano con ansia di capire cosa accadrà loro ora che sono stati portati in territorio nemico. Fiato sospeso, emozione a mille. «Le autorità ci hanno chiesto il silenzio per ora», fanno sapere.
Non è facile per loro convivere con questa incertezza. Del resto la situazione è ancora fluida, ancora incerto il destino che aspetta i militari del reggimento Azov nelle zone controllate dai russi. Gli ucraini li definiscono «evacuati», il che presuppone che siano presenti dei garanti come la Croce Rossa a salvaguardia della loro incolumità; i russi invece parlano di resa e devono decidere se considerarli prigionieri oppure criminali di guerra.
Poche le voci che filtrano. «I russi diranno che sono dei nazisti, li imprigioneranno e li tortureranno», dice afflitta da Zaporizhzhia Olena, 52 anni, moglie di uno dei combattenti dell’Azovstal. Funzionari ucraini hanno parlato di un accordo per scambiare con prigionieri russi i feriti evacuati dall’acciaieria, una volta che le loro condizioni si saranno stabilizzate. Ma non c’è stata alcuna conferma ufficiale di quei piani da parte di Mosca.
Anna, sorella di un militare che era all’interno dell’impianto, spera che non «restino a lungo in territorio nemico». «Siamo molto preoccupate per come verranno trattati e se riusciranno a sopravvivere fino al momento dello scambio», si è sfogata parlando con la Bbc. «Nel 2014 i combattenti fatti prigionieri sono stati scambiati soltanto dopo diversi anni», ricorda con apprensione riferendosi al conflitto nel Donbass tra le forze ucraine e i separatisti sostenuti dalla Russia. «Siamo in ansia per il fatto che siano stati evacuati soltanto nel territorio controllato dai russi, siamo molto spaventate per le cose che possono succedere loro».
A far salire l’agitazione, l’annunciata interruzione dei contatti. Oksana, moglie di un altro combattente, raccontava ieri che alcune famiglie avevano ricevuto in mattinata messaggi da quanti si trovano ancora all’interno dell’acciaieria. «Dicevano che la situazione era tesa e che non si sarebbero sentiti per molto tempo. Ci preoccupa che ora siano stati portati nelle zone governate dai separatisti, temiamo per quello che può succedere loro». Sandra Krotevych, la sorella del capo di stato maggiore di Azov, Bohdan Krotevych, ha riferito al Guardian di aver parlato con suo fratello alle 5 del mattino di ieri mattina quando si trovava ancora all’interno di Azovstal, poi più nulla. Chissà ancora per quanto.