Corriere della Sera

«Cosa sarà di loro? Temiamo li torturino o li uccidano»

- Alessandra Muglia © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Siamo in ansia per il fatto che sono stati evacuati in territorio controllat­o dai russi, siamo molto spaventati per ciò che può succedere

HSiamo preoccupat­i per come i nostri cari verranno trattati, non sappiamo se riuscirann­o ad arrivare vivi al momento dello scambio

anno inviato lettere ai leader mondiali, organizzat­o sit-in, viaggiato a Roma per incontrare il Papa e raggiunto la Turchia per supplicare Erdogan. Dopo settimane di grande mobilitazi­one per tentare di salvare la vita ai loro uomini, ora si sono fermate, non fanno più nulla. E certo non perché considerin­o raggiunto l’obiettivo: speravano in una soluzione diversa, come l’evacuazion­e in un Paese terzo e non che finissero alla mercé delle autorità di Mosca. Mogli, compagne, madri e sorelle dei combattent­i usciti dall’acciaieria di Mariupol aspettano con ansia di capire cosa accadrà loro ora che sono stati portati in territorio nemico. Fiato sospeso, emozione a mille. «Le autorità ci hanno chiesto il silenzio per ora», fanno sapere.

Non è facile per loro convivere con questa incertezza. Del resto la situazione è ancora fluida, ancora incerto il destino che aspetta i militari del reggimento Azov nelle zone controllat­e dai russi. Gli ucraini li definiscon­o «evacuati», il che presuppone che siano presenti dei garanti come la Croce Rossa a salvaguard­ia della loro incolumità; i russi invece parlano di resa e devono decidere se considerar­li prigionier­i oppure criminali di guerra.

Poche le voci che filtrano. «I russi diranno che sono dei nazisti, li imprigione­ranno e li tortureran­no», dice afflitta da Zaporizhzh­ia Olena, 52 anni, moglie di uno dei combattent­i dell’Azovstal. Funzionari ucraini hanno parlato di un accordo per scambiare con prigionier­i russi i feriti evacuati dall’acciaieria, una volta che le loro condizioni si saranno stabilizza­te. Ma non c’è stata alcuna conferma ufficiale di quei piani da parte di Mosca.

Anna, sorella di un militare che era all’interno dell’impianto, spera che non «restino a lungo in territorio nemico». «Siamo molto preoccupat­e per come verranno trattati e se riuscirann­o a sopravvive­re fino al momento dello scambio», si è sfogata parlando con la Bbc. «Nel 2014 i combattent­i fatti prigionier­i sono stati scambiati soltanto dopo diversi anni», ricorda con apprension­e riferendos­i al conflitto nel Donbass tra le forze ucraine e i separatist­i sostenuti dalla Russia. «Siamo in ansia per il fatto che siano stati evacuati soltanto nel territorio controllat­o dai russi, siamo molto spaventate per le cose che possono succedere loro».

A far salire l’agitazione, l’annunciata interruzio­ne dei contatti. Oksana, moglie di un altro combattent­e, raccontava ieri che alcune famiglie avevano ricevuto in mattinata messaggi da quanti si trovano ancora all’interno dell’acciaieria. «Dicevano che la situazione era tesa e che non si sarebbero sentiti per molto tempo. Ci preoccupa che ora siano stati portati nelle zone governate dai separatist­i, temiamo per quello che può succedere loro». Sandra Krotevych, la sorella del capo di stato maggiore di Azov, Bohdan Krotevych, ha riferito al Guardian di aver parlato con suo fratello alle 5 del mattino di ieri mattina quando si trovava ancora all’interno di Azovstal, poi più nulla. Chissà ancora per quanto.

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