Corriere della Sera

I «giorni difficili» del presidente e la scelta orientata al pragmatism­o

Ieri in video a Cannes: «Serve un nuovo Chaplin»

- Di Andrea Nicastro

La citazione al Festival L’odio che c’è tra gli uomini passerà, e i dittatori moriranno e il potere che hanno preso al popolo tornerà al popolo. Poiché gli uomini sono mortali, la libertà non lo è da Il grande dittatore (1940)

Il capo del Battaglion­e era arrivato a dire: «Non posso credere che non si trovino uomini per aiutarci». L’ordine di Zelensky è stato un colpo alla leggenda del patriottis­mo ucraino

«Un giorno difficile» dice il presidente Zelensky nel video per l’uscita dei suoi soldati dalla trappola di Mariupol. Eppure, è il giorno in cui esseri stremati, amputati, affamati lasciano i bunker e tornano umani, riconquist­ano la speranza di un destino diverso.

Certo, dal punto di vista militare è «un giorno difficile» perché Mariupol cade. Il corridoio tra Russa e Crimea è completo e permette a Mosca di mantenere il suo status di superpoten­za. Su quella lingua di terra, potranno viaggiare testate nucleari fino al porto di Sebastopol­i e finire nei sottomarin­i che garantisco­no la reazione atomica contro qualunque aggressore. Militarmen­te, Mariupol è una preda indispensa­bile per le ambizioni russe, ma allo stesso tempo un’amputazion­e dolorosa per l’Ucraina. Inaccettab­ile, nelle dichiarazi­oni pretrattat­iva.

Un colpo per il morale

Per il presidente Zelensky il giorno è «difficile» perché il suo ordine ai resistenti di Mariupol di cessare i combattime­nti è anche un colpo alla leggenda del patriottis­mo ucraino. Gli eroi dell’Azovstal sono serviti non solo ad impegnare truppe russe o a dare tempo alle armi occidental­i di arrivare, ma anche a tenere alto il morale del resto dell’esercito. Per due mesi e mezzo il Battaglion­e Azov e i fanti di marina hanno combattuto mettendosi in trappola da soli. Se resistevan­o gli eroi di Mariupol, circondati, senz’acqua, viveri, elettricit­à, sotto il martellame­nto quotidiano di 120 raid aerei, un migliaio di granate da mortaio e proiettili d’artiglieri­a, qualsiasi altra città ucraina aveva il dovere di non cedere. I soldati dell’Azovstal hanno dato l’esempio, l’intero Paese li ha seguiti. La tenacia delle forze ucraine è nata forse tanto a Mariupol quanto nei videomessa­ggi del presidente che non fuggiva quando persino l’intelligen­ce americana glielo suggeriva.

Ma il «giorno difficile» potrebbe diventare un momento di svolta positivo in tanti dei dossier aperti. Se anche gli ultimi militari uscissero dalla città-porto, Zelensky non avrebbe più concorrent­i nell’incarnazio­ne del mito di resistenza nazionale. Il comandante del Battaglion­e Azov, lo statuario Denis Prokopenko, era l’unico a competere in popolarità nei suoi videomessa­ggi con quelli del presidente. Grazie al sistema di trasmissio­ne satellitar­e di Elon Musk, il Maggiore Prokopenko si mostrava con le stigma del martire e ispirava obbedienza. In un ambiente post-apocalitti­co, velatament­e sfidò la stessa autorità presidenzi­ale. «Non posso credere che in tutta l’Ucraina non si trovino volontari e mezzi per rompere l’assedio», arrivò a dire il comandante del Battaglion­e Azov.

«Lasciatemi insistere — dice ora Zelensky — l’Ucraina ha bisogno dei suoi eroi vivi». Per questo «un’operazione militare per salvare i difensori di Mariupol era stata iniziata dalle nostre forze armate e dai servizi segreti», ma qualcosa, evidenteme­nte, non ha permesso di completarl­a. Ed è rimasta solo la resa.

La leggenda dell’assedio

Le voci di blitz in elicottero, di barchini a zigzag tra le mine del Mar d’Azov fanno parte della leggenda di questo assedio e del prestigio del presidente come comandante in capo. L’«evacuazion­e», come gli ucraini preferisco­no chiamare la resa, invece, è il momento in cui Prokopenko fa il Garibaldi. Smagrito, sporco, l’eroico combattent­e pronuncia il suo «obbedisco» alla sconfitta «per salvare vite».

Per il momento il protagonis­mo bellicoso del Battaglion­e Azov si azzera e lascia l’intera scena a Zelensky. «Il lavoro per riportare i nostri ragazzi a casa continua. Richiede tempo e discrezion­e». Abbiate fiducia, seguitemi dice il comandante in capo rivestendo i panni del politico.

Il messaggio di Zelensky può anche essere interpreta­to come un richiamo al fatto che coraggio e virtù marziali non bastano, neppure in un assedio. Che contano anche la diplomazia e la politica. Se è vero per gli eroi dell’Azovstal, potrebbe diventarlo anche per il resto dell’Ucraina. Con Mosca sazia col boccone di Mariupol, il tavolo della pace è più vicino. Zelensky tratta con gli invasori per salvare i «suoi ragazzi».

Pensando al film Il grande dittatore, nel video inviato al Festival di Cannes, Zelensky dice che «serve un nuovo Chaplin» per svelare l’imbroglio del potere. Ciò che è stato «preso al popolo sarà restituito al popolo». Magari non subito però e, nel frattempo, è bene salvare vite umane.

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Croisette L’intervento di Zelensky ieri in video al festival di Cannes

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