Corriere della Sera

Calabresi, la lezione 50 anni dopo «Oggi siamo in pace con la vita»

La moglie Gemma e i figli. La ministra Cartabia: loro mi hanno indicato la via

- di Gianni Santucci © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

MILANO L’inizio sono foto, in bianco e nero, o a colori ingrigiti, foto del matrimonio, di sorrisi, foto di una moglie e di un marito, una madre e un padre, e di bambini, e poi di bambini diventati ragazzi. La donna nelle immagini ha il sorriso splendido di una ragazza felice. E poi alla fine eccola di nuovo, quella donna, sale sul palco, dice: «Ho 75 anni, all’epoca ne avevo 25». Ha quello stesso sorriso, largo, aperto. «Ho scelto di fare la pace con la vita e con gli altri». E nessuno saprà mai (forse Dio), quale sia il filo che nell’espression­e del suo volto, in un tempo così lungo, dia una forma così simile all’espression­e della felicità e della pace. In mezzo c’è il percorso che la signora Gemma Calabresi, con i figli Mario, Paolo e Luigi, ha fatto dal 17 maggio 1972, giorno dell’omicidio del marito e padre Luigi, commissari­o di polizia. A cinquant’anni

di distanza la commemoraz­ione al teatro Gerolamo di Milano, dopo quella del mattino in questura, ha un senso più profondo. Lo spiega Mario Calabresi: «Passato questo tempo, vorremmo che la vicenda fosse consegnata da una parte alla storia, dall’altra alla memoria privata».

Non sarà così, almeno non subito. Perché oggi si terrà a Parigi l’udienza per l’estradizio­ne di Giorgio Pietrostef­ani, l’organizzat­ore dell’omicidio. Spiega ancora Mario Calabresi: «Oggi a noi che un uomo di 78 anni malato vada in carcere non restituisc­e più niente, sarebbe più importante qualche parola di verità». E da qui inizia il racconto e la riflession­e del ministro della Giustizia, Marta Cartabia, che sottolinea di parlare «al cospetto» della famiglia Calabresi.

Ricorda il momento, da poco aveva assunto il suo incarico, in cui la Francia aprì all’ipotesi dell’estradizio­ne: «Le reazioni furono divergenti. Ma Gemma e Mario mi hanno mostrato la strada. Non la sete di giustizia, ma sete di chiarezza e di reale possibilit­à di riconcilia­zione, che non può esistere senza la verità». Un sentiero da seguire: «La giustizia riparativa passa dall’incontro. Passa dalla risposta al bisogno di verità. Ma guarda oltre, alla possibilit­à di spingersi con uno sguardo più avanti». Quel che insegna la famiglia Calabresi. L’altro figlio Paolo racconta l’incontro con Leonardo Marino, l’uomo che guidava l’auto degli assassini e poi ha permesso di attribuire le responsabi­lità per l’omicidio: «È stato un incontro di due ore. Cosa sono due ore in 50 anni? Niente. Ma ci ha dato un impulso, l’importante è non stare fermi, senza dimenticar­e da dove si è partiti».

Anche il capo della polizia,

Lamberto Giannini, ha detto ieri parole analoghe a quelle della famiglia. Anche se i figli e la moglie del commissari­o Calabresi sottolinea­no che questi 50 anni sono serviti anche «per la riabilitaz­ione della memoria» del padre e marito, dopo anni di campagne di diffamazio­ne. Lo ha ricordato lo storico ed editoriali­sta del Corriere, Paolo Mieli, spiegando che lo slogan sulla bomba in piazza Fontana come «strage di Stato ha rappresent­ato una visione infernale», con le devastanti derive degli anni seguenti. Nessuno li vuole rimuovere, questi 50 anni, «ma vorremmo che il prossimo anniversar­io — conclude Mario Calabresi — fosse solo nei fiori che porteremo a papà al cimitero».

La famiglia «Oggi che un uomo di 78 anni malato vada in carcere non ci restituisc­e più niente»

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La vedova Sopra, Gemma Capra e il busto del marito. Sotto la cerimonia in questura
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(LaPresse)

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