Corriere della Sera

FRONTEGGIA­RE L’INSTABILIT­À: L’EUROPA A UN BIVIO

Le scelte e le sfide Le minacce a Est ma anche i pericoli nelle aree al di là del Mediterran­eo: l’Unione deve decidere come difendere la sua sicurezza e il mondo di cui fa parte

- Di Angelo Panebianco SEGUE DALLA PRIMA

Forse oggi più persone sono consapevol­i del fatto che sopravvive­nza, stili di vita, libertà, benessere, potrebbero dipendere nei prossimi anni da quanto accadrà in Europa. Non solo ma anche. Quando si parla dell’Europa e della sua sicurezza occorrono due avvertenze. Senza le quali, il resto diventa chiacchier­a inutile. La prima avvertenza è che ora e anche nel prevedibil­e futuro la difesa delle democrazie occidental­i è affidata alla Nato (e hanno ragione, dal loro punto di vista, quelli che, detestando le democrazie, vorrebbero sbarazzars­ene). Mai confondere i sogni e la realtà: forse — ma non è affatto certo — un giorno ci sarà una difesa europea a salvaguard­ia delle nostre democrazie. Se anche essa si materializ­zerà, comunque, non potrà essere altro, realistica­mente, che la gamba europea dell’Alleanza Atlantica. Oggi,e chissà per quanto tempo, l’unico scudo che abbiamo e che avremo è la Nato (e quindi il legame, politico e militare, con gli Stati Uniti). Ernesto Galli della Loggia (Corriere, 16 maggio) ha ben chiarito che cosa in realtà vogliono coloro che sostengono che i nostri interessi di fondo collidereb­bero oggi con quelli degli Stati Uniti. Di fronte all’imperialis­mo russo, polacchi e baltici, e anche finlandesi e svedesi, si sentono protetti dalla Nato, e quindi da Washington, non certo dalla Unione europea. E ciò vale anche per l’Italia. Sarebbe assurdo il contrario.

La seconda avvertenza è che molto del futuro dell’Europa si deciderà in Germania. Incorre in un abbaglio chi pensa che sarà la Francia di Macron a prendere la guida del processo di integrazio­ne. La Francia non ha il «fisico», la stazza, per svolgere quel ruolo. Può essere soltanto un comprimari­o. È la Germania che deve decidere se vorrà essere, al di là del suo ruolo economico, la locomotiva politica del treno europeo. La decisione di innalzare massicciam­ente la spesa militare è stata letta come il segno di una svolta storica. Ma lo sarà soltanto se si inserirà, sotto la pressione della minaccia russa, in un più generale ripensamen­to da parte della classe dirigente tedesca e della pubblica opinione, del ruolo internazio­nale della Germania e della relazione che essa intende istituire fra la sua potenza e l’Unione europea. Bisognerà seguire con attenzione il dibattito pubblico tedesco nei mesi a venire.

Poniamo che Germania, Francia, Spagna e Italia (nonostante il nostro sistema politico sia una macchina scassata e con le ruote sgonfie) trovino un accordo per andare al di là dei trattati, per esempio per sfuggire a quella specie di comma 22 in base al quale per eliminare la regola dell’unanimità occorre l’unanimità. Poniamo che si trovi il modo di procedere con le cosiddette «cooperazio­ni rinforzate» (o comunque le si ribattezzi) in materia di difesa. La difesa, ricordo, è il cuore di qualunque unione politica. Bisognerà creare istituzion­i nuove di zecca (magari anche svuotando, eventualme­nte, le istituzion­i europee del settore difesa oggi esistenti) all’interno del sistema istituzion­ale europeo, istituzion­i in cui si deciderebb­e a maggioranz­a e in cui il rifiuto di aderire alle scelte di maggioranz­a comportere­bbe l’automatica espulsione. Non c’è altro modo per fare nascere, credibilme­nte, un’Europa della difesa e della sicurezza. Se avessero successo, le nuove istituzion­i, col tempo, attirerebb­ero al loro interno molti altri Paesi dell’Unione. In prospettiv­a, si andrebbe verso quell’Europa a cerchi concentric­i che, nel corso degli anni, è stata più volte proposta. Difficoltà tecnico-giuridiche da superare ce ne sarebbero ma quando entra in gioco l’istinto di sopravvive­nza le soluzioni si trovano. Sempre che la Germania, eccetera, eccetera.

Stiamo per caso parlando di un costituend­o «Stato europeo»? Ma no, Dio ce ne scampi. Il grano di verità che c’è (insieme ad altre cose non convincent­i) nella critica sovranista dell’Unione è che sarebbe assurdo, nell’Europa delle diversità, pensare di costruire una entità statale continenta­le lontana anni luce dai cittadini comuni e che sarebbe una minaccia per le diverse tradizioni culturali dei Paesi

europei. Un’idea che, oltre che irrealizza­bile, non è per nulla seducente.

Ma al tempo stesso si tratterebb­e di qualcosa di diverso da una pura confederaz­ione. In un’altra epoca, quando l’ordine internazio­nale a guida occidental­e non era ancora stato sfidato, anche chi scrive, polemizzan­do, come i britannici pre-Brexit, con l’idea di Stato europeo (e, in pratica, con certi eccessi dirigisti alla francese), ha evocato il tema della confederaz­ione. Anche se con i correttivi necessari per salvaguard­are il mercato unico, la moneta e gli altri frutti dell’integrazio­ne europea. Adesso però siamo in altri tempi, tempi duri che richiedono soluzioni nuove.

Nelle confederaz­ioni classiche ogni Stato mantiene la sovranità. Quando la pressione esterna è massima il rischio, se non la certezza, è che dopo un po’ ciascuno faccia come gli pare. Alla fine l’intera costruzion­e crolla. La storia ne offre esempi innumerevo­li.

Se non che, fortunatam­ente, il «federalism­o» può essere declinato in modi diversi. È un ombrello capiente al di sotto del quale prendono posto varie soluzioni istituzion­ali. In genere, ognuna di esse nasce da compromess­i fra visioni e interessi diversi. Non ha importanza come in seguito verrà etichettat­a la soluzione adottata.

Il sistema delle democrazie occidental­i è sotto attacco. L’Europa in particolar­e dovrà vedersela con le minacce a Est ma anche con i pericoli che si materializ­zano nelle aree in ebollizion­e al di là del Mediterran­eo. Fronteggia­rne l’instabilit­à sarà cruciale per garantire all’Europa sia sicurezza che rifornimen­ti energetici.

Non è chiaro ancora quanti europei lo abbiano compreso ma l’Europa, per la prima volta dopo le scelte che seguirono la fine della Seconda guerra mondiale, si trova a un bivio: deve decidere se essere o no parte attiva nella difesa di quel mondo occidental­e di cui fa parte. Il resto è retorica.

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