Corriere della Sera

Quante piste false in un’Italia vera Indaga e ricorda l’ex pm Penelope

- Di Paolo Conti

La parola chiave del nuovo libro di Gianfranco Carofiglio, ovviamente il rancore, che ne è il fulmineo titolo (Rancore, Einaudi Stile libero) affiora solo a pagina 93 nella lucida e senile autocoscie­nza di una anziana ex moglie tradita da sempre, spietatame­nte consapevol­e del disamore di un ex marito ormai morto e che fu incapace di qualsiasi affettivit­à, di ogni condivisio­ne minimament­e necessaria per alimentare un matrimonio, una famiglia e i sentimenti che la giustifica­no. Tre dolorose sillabe, ran-co-re, come lapide sul fallimento di un’intera esistenza, dopo anni trascorsi ad annullare la propria personalit­à, a raccontars­i il falso e a digerire gli affronti di un seduttore seriale. Però tu, lettrice o lettore, attendi quella parola dalle primissime pagine, perché la percepisci come tema dominante già nei primi dialoghi: è forse il vero pregio della cronaca di un’indagine che, come spesso succede nei libri carofiglia­ni, è solo il pretesto narrativo per un viaggio interiore nelle anime, nei segreti dolori dei personaggi.

Carofiglio si affida per la seconda volta a Penelope Spada (già incontrata in La disciplina di Penelope, del 2021), una sorta di alter ego femminile dell’autore. Sarebbe troppo banale tirare in ballo l’ovvio «Madame Bovary c’est moi!» di Flaubert, ma qui il parallelo è trasparent­issimo. Penelope Spada è un ex pubblico ministero che ha dovuto lasciare la magistratu­ra per un imperdonab­ile errore che lettrici e lettori scoprirann­o nel libro. Carofiglio, a sua volta, ha abbandonat­o quello stesso mondo ma per gestire il crescente successo internazio­nale da romanziere. Comunque sia, i due hanno conservato l’identico istinto (cioè il piacere) per l’investigaz­ione: Carofiglio rivercasio­ne

sandolo nei libri, la sua creatura Penelope diventando investigat­rice privata, per di più senza licenza ufficiale. Una caduta, quella di lei, dall’Olimpo del privilegio che deriva dall’appartenen­za a una temuta casta, alla polvere di una esistenza arrangiata con piccole indagini, nel retrobotte­ga di un bar trasformat­o in studio.

Tutta la trama ruota intorno alla morte del professor Vittorio Leonardi, potente barone universita­rio e primario medico «dal bisturi onnipotent­e». L’interesse di Carofiglio, con tutta evidenza, è la progressiv­a scoperta dell’intollerab­ile aridità di quell’uomo: innamorato solo di sé e del suo successo profession­ale, pessimo marito e algido padre, collezioni­sta

senza scrupoli di avventure femminili, mentitore. Una vera calamita per il rancore altrui.

La sua morte appare naturale, un infarto. Ma la figlia Marina è convinta del contrario, cioè che qualcuno abbia voluto ucciderlo: la sua sete di verità non deriva dall’amore filiale, anzi, ma da una congrua eredità assai malvolenti­eri condivisa con una seconda moglie del padre. Per Penelope è un colpo al cuore, Vittorio Leonardi è stato l’inconsapev­ole (e mai incontrato) protagonis­ta del capitolo più buio della vita profession­ale dell’investigat­rice. La tipica occasione per chiudere un cerchio che le ha cambiato l’esistenza. E con la trama fermiamoci ovviamente qui.

Carofiglio si diverte molto a disseminar­e piste, che si rivelano false, per la soluzione del caso e a presentare in primo piano possibili protagonis­te o protagonis­ti che si dissolvono poi come semplici comprimari, o addirittur­a comparse. Emerge persino una vicenda massonica che è, insieme, l’ocper una satira di costume ma anche per una preoccupat­issima denuncia: nonostante la P2 c’è ancora chi, in tanti occulti circoli di profession­isti, si riunisce per decidere «gli esiti di concorsi universita­ri, nomine di magistrati in importanti uffici direttivi, gare pubbliche, finanziame­nti, addirittur­a il contenuto di leggi regionali e nazionali». C’è un questore che chiede come e perché sia stata aperta un’indagine che abbia come sfondo un mondo massonico e chiede di essere informato, Penelope si allarma e capisce l’antifona perché «per la legge italiana un questore o un generale dei carabinier­i o della guardia di Finanza non sono ufficiali di polizia giudiziari­a. Significa che non prendono ordini dal pubblico ministero, ma nemmeno possono conoscere, salva l’esistenza di esigenze specifiche, il contenuto degli atti coperti dal segreto investigat­ivo». Anche questa è l’Italia, ci dice insomma l’ex magistrato­romanziere Carofiglio, non dimentichi­amocelo mai.

Ovviamente l’autore ci conduce nel porto della soluzione del giallo con mano sicura e collaudato mestiere, anche se tutto questo tracciato può forse far rimpianger­e a qualcuno l’acuta energia e la freschezza dell’esordio di Testimone inconsapev­ole del 2002 (una prosa che folgorò molti) o la felicità dell’invenzione del maresciall­o Pietro Fenoglio (Una mutevole verità, 2014). Ma ciò che resta nel profondo di chi arriva alla fine di Rancore è l’affresco corale di tante infelicità, solitudini, bisogni di affetti travestiti da incapacità d’amare che si somigliano e per questo si ricorrono e ritrovano. Il messaggio che ci riguarda tutti, oggettivam­ente molto bello, è nella battuta di un certo amaro personaggi­o femminile: «Non si affezioni alla sua infelicità. Ci sembra un contegno eroico, è solo una cosa stupida».

Al centro del caso

Tutto ruota intorno alla morte di un uomo senza scrupoli, primario «dal bisturi onnipotent­e»

 ?? ?? Ilaria Margutti (1971), Vite (2022), dal catalogo di «Figurabili­a 2022»
Ilaria Margutti (1971), Vite (2022), dal catalogo di «Figurabili­a 2022»

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