Cannes al debutto: risate con gli zombie
Michel Hazanavicius nel regno dei film d’autore La commedia horror smonta la sacralità del cinema
Col senno di poi Cannes non poteva scegliere film più adatto a inaugurare questa 75esima edizione: un film di genere nel regno del cinema d’autore, un film di «serie B» sul tappeto rosso della A, un film con ambizioni meta-cinematografiche affrontate con il massimo dell’ironia… Coupez! (Tagliate) di Michel Hazanavicius sembra il prodotto perfetto per la missione nobilitante che sembra essersi dato il direttore Thierry Frémaux: allargare il più possibile il perimetro della «qualità cinematografica» in nome di una idea di cinema capace di riportare il pubblico in sala.
Preceduto dalle polemiche sul titolo cambiato, dall’originale Z (che poteva sembrare un involontario sostegno alla propaganda putiniana) a Coupez!, il film è un remake del giapponese Zombie contro zombie, saggio finale di una scuola di recitazione di Tokyo diventato un insperato successo. Di quel film del 2017 Hazanavicius riprende la struttura. Così nella prima mezz’ora vediamo una troupe al lavoro su uno scalcagnato film di zombie che viene aggredita da autentici morti viventi. Ogni tanto l’azione sembra fermarsi, come se gli attori non ricordassero più le battute, altre volte ti chiedi come mai persone riconoscibilmente francesi si chiamino davanti alla macchina da presa con nomi giapponesi, ma il dilettantismo dell’operazione è così generale che si sghignazza prima di farsi delle domande.
Poi, dopo che dei titoli di coda chiudono questa prima parte, il film torna indietro di tre mesi e tutto prende un’altra dimensione. Scopriamo così che un regista che ha abdicato alle proprie ambizioni (Romain Duris) ha deciso di accettare una proposta che gli viene dal Giappone (ecco spiegati i nomi): girare la storia di una troupe aggredita dagli zombie proprio mentre sta girando un film su di loro e farlo in un unico piano sequenza che va trasmesso in diretta per l’inaugurazione di un canale televisivo. Scopriamo così il dietro le quinte del film che abbiamo visto nella prima mezz’ora, dove si mescolano il narcisismo del prim’attore (Finnegan Oldfield) e il protagonismo della star (Matilda Ana Ingrid Lutz), il dilettantismo di alcuni e i problemi fisici degli altri, le conseguenze degli scherzi e gli sforzi per risolverli. E più si avvicinano le riprese più gli ostacoli crescono, fino a coinvolgere anche la moglie (Bérénice Bejo) del regista. Portando lo spettatore nell’ultima mezz’ora a rivedere il film che è stato girato ma dalla prospettiva delle catastrofi che si accavallano e dei modi in cui tutti più o meno cercano di affrontarle.
Alcune trovate sono esilaranti, altri un po’ facili ma più in generale lo spettatore è accompagnato dal compiacimento goliardico di chi si è divertito a smontare la presunta sacralità del cinema finendo per rimetterla in piedi subito dopo. E quello che nell’originale giapponese trovava la sua ragion d’essere nell’irriverenza spregiudicata di un saggio di fine corso qui diventa un gioco un po’ troppo compiaciuto di sé, soprattutto da parte di un regista che con The Artist aveva saputo rileggere con ben diversa sensibilità i funzionamenti della macchina-cinema.