Corriere della Sera

Calori e quel gol che punì la Juve «A Inzaghi serve un altro come me»

- Guido De Carolis

«Sono passati 22 anni, ma quel giorno non lo dimentico». Il 14 maggio 2000 Alessandro Calori segna il gol che toglie lo scudetto alla Juventus e lo regala alla Lazio in cui giocava Simone Inzaghi. Ultima giornata di campionato, i bianconeri di Ancelotti avanti di 2 punti, la partita di Perugia quasi una formalità da sbrigare per lo scudetto, stessa situazione di domenica per il Milan contro il Sassuolo. Quel match si trasformò nella gara del diluvio, venuto giù quel giorno forse per lavare i tanti peccati del calcio italiano. La partita, interrotta per un’ora dall’arbitro Collina, riprende e finisce con la vittoria per 1-0 del Perugia. Lazio campione d’Italia nell’incredulit­à generale. Inzaghi, dopo il successo di Cagliari, ha ricordato l’episodio per tener vive le speranze dell’Inter.

Calori come fu quel giorno di maggio?

«Era la Juve dei fenomeni: Zidane, Del Piero, Inzaghi, Conte, Davids. Nel primo tempo falliscono tanti gol, andiamo al riposo sullo 0-0. Noi tranquilli e già salvi, a loro sale l’emotività. Poi viene giù il diluvio, si allaga tutto. Collina non sa che fare, chiama i superiori, aspetta. Erano anni di feroci polemiche arbitrali, non si poteva sospendere. Mazzone non aveva fatto discorsoni alla vigilia, il presidente Gaucci minacciò di portarci in tournée in Cina se non avessimo vinto. Collina decide: si gioca, ripartiamo».

Minuto 5 della ripresa, Calori cambia la storia scudetto.

«Dissero che ero stato fortunato, che avevo colpito la palla male, incolparon­o Van Der Sar. Ma sulla respinta della difesa stoppai di petto e infilai all’angolino: feci un gran gol, altroché tiro ciabattato». Che le dissero gli juventini? «Nulla, non li vidi. Non era colpa mia, né nostra, se avevano perso il campionato. Era successo l’imponderab­ile, come il 2-3 di Roma-Lecce».

La rete le cambiò la vita? «L’Italia è divisa in due: gli juventini e gli anti juventini. Diventai l’idolo di una parte del Paese. La pioggia e il gol furono interpreta­ti come la vittoria del calcio pulito da molti, non da me: avevo fatto solo il profession­ista. Da piccolo tifavo Juve, in realtà ancora oggi, la fede non si cambia. Non cambiò neanche la mia carriera. Avevo già 34 anni e 300 partite in serie A. In estate lasciai Perugia, seguii Mazzone a Brescia: arrivarono Baggio, Guardiola, poi Pirlo. Credo che i tifosi della Juve non ce l’abbiano con me». Come fu il dopo gara? «Finito il diluvio iniziò una tempesta mediatica. Non riuscivo più a uscire dallo stadio, andai via non so dopo quante interviste. Era successo qualcosa di storico, si percepiva. Era stata una settimana folle, mai viste tante tv a Perugia».

Inzaghi vorrebbe rivincere un altro scudetto così.

«Sperano in un altro Calori, lo immagino. Ancora non mi capacito di come la Juve abbia potuto perdere, aveva campioni che avevano vinto scudetti, Champions, Mondiali. Non volevano arrendersi all’imponderab­ile: la verità è che non concepiamo possa esistere, ma a volte accade. Al Milan, se la partita si mette male nel primo tempo, salirà la pressione. Non hai una seconda chance e non sempre vince il migliore. In settimana saranno fondamenta­li Ibra e Giroud per guidare i più giovani. Il campionato però ha dimostrato che può succedere di tutto». Anche che diluvi.

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