Corriere della Sera

ERIKSEN È PRONTO A RIPRENDERS­I IL GRANDE CALCIO

- Di Mario Sconcerti

L’autostrada M4 parte dal centro di Londra, tocca l’aeroporto di Heathrow e arriva fin dentro il Galles. Risale per una buona parte il corso del Tamigi e divide in due il borgo di Brentford, un quartiere all’estremo Ovest della metropoli, forse un paese, di certo una comunità stretta intorno a vecchie leggende che partono da Cesare e si chiudono sulla squadra di calcio. A Brentford molti dicono che il calcio è cominciato da loro, sulle rive del Tamigi. Ci sono sempre spiagge alle origini del calcio, Copacabana, Genova, l’Amazzonia, perfino il Tamigi. Perché

dove c’era spiaggia arrivavano navi e i marinai inglesi portavano sempre un pallone dentro la stiva. Quelli di Brentford dicono che il primo gol lo segnò Cesare prendendo a calci la testa di un capo celtico e mandandola a finire al centro del grande fiume. Non è elegante, ma rende l’idea, e comunque entusiasmò le legioni romane.

A Brentford da gennaio gioca Christian Eriksen, il ragazzo dell’Inter e dell’arresto cardiaco in campo quel 12 giugno di un anno fa, al minuto 43 di Danimarca-Finlandia, sul prato del Parken Stadium di Copenaghen. Oggi possiamo permetterc­i di riassumere grezzament­e: gli andò in corto circuito la centralina elettrica che gestisce i movimenti del cuore. Improvvisa­mente si fermò tutto. Se la vita è un cuore che batte, Eriksen è un uomo letteralme­nte resuscitat­o. Al 98 per cento c’era dietro un’anomalia genetica, si nasce così, un po’ imperfetti. Alla fine delle analisi, fu deciso di impiantare su Eriksen un defibrilla­tore minuscolo che gestisse il ritmo cardiaco. In fondo un’operazione di routine, non banale ma comune. Ma Eriksen giocava allora in una squadra italiana, l’Inter, e in Italia, se hai quel piccolo apparecchi­o dentro il petto, non sei abilitato a fare sport.

Così Eriksen è stato acquistato dal Brentford a fine gennaio, ha ricomincia­to in una squadra inglese di media classifica. Un grande giocatore dentro una squadra qualunque, ma un giocatore vivo. Eriksen oggi fa una vita da atleta normale e ha qualcosa accanto al cuore che lo aiuta a vivere meglio. In questi ultimi cento giorni ha giocato dieci partite di Premier, 848 minuiti, e ha anche segnato un gol. Quando è tornato in campo, a inizio marzo, contro il Norwich, ha trovato Taylor, lo stesso arbitro che gli aveva arbitrato la partita dell’arresto cardiaco. La vita è strana. Oggi Eriksen gioca come sa, cioè bene e con calma. È sempre stato un pensatore, uno di quei giocatori che decide anche da fermo. Gli inglesi dicono che non ci sono differenze tra il ragazzo che giocava nel Tottenham e questo del Brentford. Eriksen è un gestore di palloni, detta l’eccezione non la regola. Così si nasconde al ricordo della malattia. È tornato anche a giocare in Nazionale e continua a guadagnare 9 milioni e 620 mila euro l’anno, 185 mila a settimana.

Il calcio inglese sa essere violento ma sa distinguer­e. Eriksen era rispettato anche quando non aveva l’apparecchi­o nel cuore. Oggi l’avversario è un po’ condiziona­to dalla sua storia e dalla malattia. Eriksen viaggia sul campo come un trofeo di cristallo che tutti possono colpire ma a cui nessuno vuol fare male. In quella partita d’esordio con il Norwich fu Eriksen a entrare duro da dietro su Brandon Williams. Lo abbracciò e lo spinse a terra. Williams si alzò arrabbiato, deciso a protestare, poi vide che era Eriksen e l’abbracciò. Oggi Eriksen è dentro un calcio diverso. Anche se lui è lo stesso, sono gli altri a essere cambiati. E questo lui lo tollera male, vuole i vecchi avversari, vuole una nuova Champions. E nessuno sa ancora se ci sia un errore.

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(Getty Images) Classe Christian Eriksen, 30 anni, con la maglia del Brentford, la squadra dove ha ritrovato sé stesso

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