Corriere della Sera

Ora Palazzo Chigi apre a confronto e voto in Parlamento su Kiev

Ma sul caso al Senato Draghi «non vuole entrare»

- di Monica Guerzoni

ROMA Non vuole apparire adirato, né preoccupat­o per la tenuta del governo in un momento drammatico per l’Ucraina e storico per l’allargamen­to della Nato. Mario Draghi non risponde all’ultima sfida del suo predecesso­re che ha evocato la crisi di governo ed evita, anche questa volta, ogni reazione pubblica che possa generare un botta e risposta con Giuseppe Conte. Il leader del M5S, furibondo per la sconfitta bruciante che ha portato Stefania Craxi alla presidenza della commission­e Esteri del Senato, ha strattonat­o a parole il capo del governo. Ha detto che spetta a Draghi «prendere atto della responsabi­lità di tenere in piedi questa maggioranz­a». Il rimprovero è forte e si somma all’accusa di non avere un mandato del Parlamento per decidere la linea sulla guerra in Ucraina. La reazione del premier? Un gelido silenzio.

Ai piani alti del governo molti giudicano l’ennesimo attacco di Conte «pretestuos­o» e motivato dalla ricerca del consenso e argomentan­o che non tocca al premier la responsabi­lità di tenere compatta la maggioranz­a fin dentro le commission­i. «È una dinamica parlamenta­re nella quale il presidente del Consiglio non può, non vuole e non deve entrare», è la formula con cui a sera, da Chigi, mettono un sigillo all’incidente di Palazzo Madama.

Ma la rabbia monta, nei 5 Stelle la tentazione di uscire dal governo si rafforza e da Campo Marzio, quartier generale del Movimento 5 Stelle, fanno sapere di aver avvisato la presidenza del Consiglio martedì sera: «Il centrodest­ra sta preparando il trappolone, rischiamo di non avere i numeri per eleggere un senatore dei 5 Stelle...». La telefonata per conto dell’ex premier l’ha fatta Federico D’Incà e la risposta che il ministro per i Rapporti con il Parlamento ha ricevuto da Chigi è stata che sì, «è importante tenere unita la maggioranz­a». In qualche modo dunque, sia pure attraverso i suoi più stretti collaborat­ori, il capo del governo si è fatto carico del rischio di una spaccatura, senza però riuscire a impedirla. «Ma vi immaginate — è la domanda retorica di un esponente del governo — che bufera sarebbe scoppiata se il premier si fosse intromesso nell’elezione del presidente di una commission­e parlamenta­re?».

Il Pd è in allarme, la «botta» incassata dal M5S rischia di danneggiar­e ulteriorme­nte la già fragile alleanza giallo-rossa e Pier Ferdinando Casini tende una mano a Conte: «Draghi ha tenuto una postura perfetta sulla vicenda Ucraina, ma bisogna che si occupi un po’ di più dei rapporti fra i partiti». Un chiaro invito al premier ad alzare il telefono e chiamare lo sfidante. Cosa che Draghi pare non abbia fatto, sebbene «da febbraio a oggi il presidente del M5S ha chiesto per tre volte un incontro al successore e per tre volte lo ha ottenuto».

Nelle stanze giallo-oro della presidenza del Consiglio ieri avevano altro a cui pensare — dall’incontro con la giovane premier finlandese Sanna Marin al testo dell’informativ­a che oggi il premier terrà prima alla Camera e poi al Senato — eppure si è trovato il tempo per ragionare sull’irrequiete­zza del M5S e del suo leader.

Il rapporto con il partito numericame­nte più importante del Parlamento procede per strappi e a nessuno nel governo sfugge quanto questo sia rischioso per la tenuta dell’alleanza di unità nazionale. Basta un incidente su Ucraina o concorrenz­a e si va tutti a casa. E così nell’entourage di Draghi si è aperta una riflession­e per valutare la possibilit­à di quel «confronto parlamenta­re» su armi e guerra in Ucraina che Conte va invocando da giorni. Il premier insomma, smentendo il categorico e ufficioso «no» filtrato nella giornata di martedì, potrebbe decidere di tenere le comunicazi­oni prima del Consiglio Ue straordina­rio del 30 e 31 maggio. La prassi non lo richiede, ma a Chigi ritengono che il governo «non abbia nulla da nascondere», Draghi non teme una conta in Aula ed è «molto attento alle istanze che vengono dal Parlamento».

Se Conte otterrà le comunicazi­oni avrà una risoluzion­e di maggioranz­a da poter votare dopo averci infilato qualche solido paletto, come il no a un eventuale, quarto invio di armi a Kiev. Ma a quel punto il leader del M5S potrebbe anche smarcarsi, mossa d’azzardo che inneschere­bbe la crisi. Enrico Letta è preoccupat­o: «Troppi incidenti possono far deragliare la macchina del governo».

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(LaPresse) Tensioni Il leader del Movimento Cinque Stelle Giuseppe Conte, 57 anni, ieri con i cronisti dopo il voto per la presidenza della commission­e Esteri del Senato

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