PAESAGGI Il Giro oggi collega due capitali dinastiche, Parma e Genova Valicare l’Appennino è mettere a confronto due mondi opposti «RIVALI»
Dalla parte emiliana le strade pennellano i colli con la dolcezza di una lama che taglia il «crudo». Dal lato ligure ogni paesino ricorda, arroccato sulle pendenze, la difesa dai saraceni e un passato di emigrazione
Se tracciassimo la tappa di oggi del Giro su un atlante storico, incapperemmo in un collegamento internazionale tra due capitali, la colta e ghiotta Parma dei Farnese e la superba Genova, repubblica dominatrice dei mari. Il confine è quasi a metà, con l’acqua di un versante a fluire pigramente verso l’Adriatico e quella dall’altra parte a saltellare precipitosamente nel Tirreno. Basta questa premessa a dividere due mondi e due modi di intendere il paesaggio che non potrebbero essere più diversi.
La città in val Padana ha fatto delle proprie campagne un fiore all’occhiello, con benefici di lontane origini ma di cui ancora oggi godiamo. Appena valicato, lo scenario è quello di un’agricoltura fatta di muretti a secco, dislivelli rubati alla montagna e cave dove non si coltivavano verzure ma minerali. La fatica ligure si spezzava nelle gambe martoriate dalle salite e si bagnava nel sudore del piccone o della vanga dove l’aratro non riusciva a passare, fortuna che invece era concessa ai contadini emiliani.
I paesi del versante parmense raramente sono arroccati, piuttosto li si attraversa magari ascoltando una melodia di Verdi - altra eccellenza locale - che esce dal bar dove le voci si riuniscono attorno a un buon bicchiere della DOP dei Colli di Parma. Le strade pennellano i colli con quella dolcezza che ancora oggi apprezziamo quando una lama scorre su una coscia di crudo che porta il nome «Parma» nel mondo, o per come scendono su una pasta fumante i fiocchi del re dei formaggi, che non per niente si chiama Parmigiano. Sul versante dolce si insediarono i Longobardi, e prima di loro tribù celtiche, perché i solchi vallivi del Taro e dei suoi affluenti erano le strade per portare il sale, a Parma e in tutta la Padania. Indispensabile per la conservazione dei cibi, era denaro sonante e portava ricchezza.
I carrettieri provenienti dal mare spuntavano dal Passo del Bocco, vivendo con un certo sollievo il paesaggio sereno che digradava ai loro piedi. Ma a chi faceva il percorso inverso, come oggi il Giro, il valico svelava un’esistenza completamente diversa. Le terre al di là, sono mosse da dislivelli feroci e altalenanti. Banalmente, se esaminiamo l’altimetria della tappa odierna, la lenta salita costante dal Parmense mette quasi pace. Ma dopo il Passo del Bocco ci si tuffa in una voragine per poi seguire un profilo seghettato fatto di alti, bassi e ansia per quel che potrebbe nascondersi dietro la curva.
Proprio per questo la Liguria è un mondo affascinante, da conquistare, dove l’uomo si è arroccato in paesini di pietra, ancora addossati al campanile con i caruggi e i sentieri ben diritti e con una pendenza tale da scoraggiare la salita dei mori, i pirati saraceni che ancora fino al XVIII secolo sbarcavano per fare incetta di quello che trovavano. Molti dei borghi che si incrociano sul versante tirreno sono stati abbandonati per scendere ai porti con pochi effetti personali e imbarcarsi. I nomi di chi se ne è andato riempiono i registri di Ellis Island e le anime sono ancora impresse sulle staccionate dove si era incolonnati come bestie. Quei nomi sono ora nei file delle banche, perché gli emigranti che hanno fatto fortuna, sono tornati e hanno ristrutturato le case. È una specie di riconquista, il pagamento di un pegno alla propria terra d’origine che, per quanto severa, ha avuto il merito di dare la vita e forgiarla. L’entroterra ligure si ama per questo.
È così che Parma e Genova sono due capitali magnifiche, ma distanti ben più del percorso tortuoso che le separa. Siamo onorati che l’Unesco riconosca la ligure Patrimonio dell’Umanità con i palazzi di Strada Nuova e all’emiliana assegni il ruolo Città Creativa per la Food Valley, ma non scordiamo che tutto quello che c’è in mezzo è la nostra storia e, se anche l’Unesco non la riconosce, è quella parte che ha fatto di noi ciò che siamo. Qui, dove è tornato ad ululare il lupo, il territorio ci chiede di rispettarlo e di essere portatori sani delle memorie che hanno fatto dell’Italia quel magnifico scrigno di diversità che il mondo ci invidia.