Corriere della Sera

Gramsci «allievo occulto» della filosofia di Gentile

Giuseppe Bedeschi, in uno studio proposto da Le Lettere, mette in rilievo l’influenza decisiva che l’attualismo ebbe sul giovane leader comunista

- Di Giancristi­ano Desiderio

Antonio Gramsci riteneva che il pensiero di Croce fosse «il momento mondiale della filosofia tedesca» e, nonostante ne subisse il fascino e, anzi, proprio in forza di ciò, auspicava che si scrivesse un AntiCroce. Ma la motivazion­e vera della proposta di Gramsci risiedeva nella sua formazione gentiliana.

Sì, proprio così: perché più dell’influenza dello storicismo di Croce poté sul giovane Gramsci il neo-idealismo o attualismo di Gentile. Ad esempio, sul settimanal­e torinese «Il Grido del popolo», del 19 gennaio 1918, il giovane ideologo comunista scriveva che Gentile era «il filosofo italiano che più in questi ultimi anni abbia prodotto nel campo del pensiero. Il suo sistema della filosofia è lo sviluppo ultimo dell’idealismo germanico che ebbe il suo culmine in Hegel, maestro di Marx, ed è la negazione di ogni trascenden­talismo, l’identifica­zione della filosofia con la storia, con l’atto del pensiero in cui si uniscono il vero e il fatto in una progressio­ne dialettica mai definitiva e perfetta».

Ce n’è quanto basta per sottolinea­re l’ammirazion­e di Gramsci per Gentile e mettere in luce che tanto Gentile volle ricavare da Marx una filosofia della prassi quanto Gramsci volle riprendere da Gentile una filosofia rivoluzion­aria tradotta nella storia.

A fornire questa lettura del pensiero di Gramsci è Giuseppe Bedeschi con il suo gran saggio Miti e ideologie (Le Lettere). Bedeschi fornisce al lettore un libro da leggere e studiare per capire i passaggi storici più importanti del primo Novecento — la Grande guerra, il «biennio rosso», il fascismo — che hanno condiziona­to il «secolo breve». Ci sono in questo libro pagine e pagine di grande finezza interpreta­tiva: il capitolo iniziale sul socialismo riformista e rivoluzion­ario, il meridional­ismo di Salvemini, il «liberalism­o» operaista di Gobetti, e ancora pagine su Croce, Amendola, Mosca, Sturzo e Giolitti.

Tuttavia, è proprio il giudizio di Bedeschi su Gramsci — rigorosame­nte documentat­o — che merita la giusta attenzione perché, per riprendere quanto scrisse Sergio Romano, emerge con nettezza che proprio Gentile è stato «il maestro occulto del Partito comunista italiano». Non a caso la stessa interpreta­zione che Gramsci diede sia della rivoluzion­e bolscevica sia dell’esigenza di uscire dal Psi e fondare il Pcd’I s’intende appieno solo se si evidenzia la «intonazion­e neo-idealistic­a» con cui il pensatore sardo usò il volontaris­mo di Lenin contro il materialis­mo di Marx.

In Gramsci il classico rapporto marxista tra «struttura» e «sovrastrut­tura» è rovesciato: non è l’economia che determina la coscienza, ma è la coscienza che determina l’economia. Marx giunge a Gramsci attraverso Gentile. E questo vale non solo per il giovane Gramsci ma anche per il Gramsci dei Quaderni del carcere che elabora l’egemonia del moderno Principe sostituend­o allo Stato etico la «società regolata» del Partito comunista.

Profili

Un’analisi che riguarda anche personaggi come Salvemini, Gobetti, Sturzo e Giovanni Amendola

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