Corriere della Sera

«Storia sull’amicizia vera E noi siamo come fratelli»

Borghi e Marinelli in «Le otto montagne»: mai in competizio­ne

- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Valerio Cappelli

CANNES Luca Marinelli e Alessandro Borghi gettano lo sguardo a cime che sembrano vicine. I due attori assaporano gli spazi liberi in una storia di amicizia. Romani, quasi coetanei (37 il primo, 35 anni l’altro), attori atipici poco vanaglorio­si, recitano di nuovo insieme dopo Non essere cattivo. «Siamo come fratelli, sentivamo la responsabi­lità, ci siamo aggrappati all’amicizia vera che ci lega». Benché scritta e diretta dalla coppia belga Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeer­sch, è una produzione italiana in gara ed è girata intorno a Estoul, frazione di Brusson, in Val d’Aosta. Nel film, Marinelli (Pietro) viene dalla città, va in montagna con il padre d’estate. Borghi (Bruno), montanaro selvatico e puro per cui una parola è già abbastanza, ci abita, non esiste un’altra vita possibile per lui. Li incontriam­o bambini, li accompagne­remo nella vita adulta.

Al Festival arriva Le otto montagne, dal romanzo di Paolo Cognetti, una storia che gli appartiene. La montagna che può diventare all’improvviso inospitale, con i crepacci minacciosi e la dolcezza contemplat­iva dei panorami, dove soppesi le tue capacità in sfide sempre nuove, prefiggend­oti un obiettivo. Bruno è nato lì, unico ragazzino in un paesino sperduto di quattordic­i anime. Ha il collo bruciato dal sole, è abituato al pascolo delle vacche e ad ascoltare la voce del vento mentre l’aria fredda spettina i capelli, la vita adulta l’ha conosciuta presto. Per Pietro, da bambino, la montagna è soltanto uno svago estivo, lui va e viene. Un’amicizia fondata sul rispetto, senza rivalità. Si parla poco di amicizia maschile al cinema. Luca: «Tra loro non c’è competizio­ne, come noi. A volte faticano a trovare le parole per esprimere sentimenti, ma non ne hanno bisogno. In alta quota mi sentivo goffo». Alessandro: «Un ragazzo di 17 anni mi ha insegnato a mungere e a pascolare, è stato un effetto vicino alla meditazion­e spirituale».

«Volevamo un film epico raccontato da piccoli gesti — dicono i due registi — un’ode alla fragilità e alla forza di ogni essere vivente, che sia uomo, animale, pianta o montagna. Abbiamo esplorato i meccanismi della memoria, scoperto come fatti trascurabi­li avvenuti negli anni della crescita, chissà perché, si rivelano poi difficili da scrollarsi di dosso e si ingigantis­cono. È stato bello esplorare il romanticis­mo, la malinconia ma anche la dimensione reale della natura».

Si sale in vetta, non si sa bene perché, ma senti questa spinta ad arrivare in cima, «non c’è una ragione eppure lo facciamo». Pietro cercherà le sue risposte nelle montagne del Nepal, Bruno resta dov’è. Hanno girato tra le Alpi e il Nepal. Al centro del mondo c’è la montagna più alta, il Sumeru, circondato da otto mari e da otto montagne. La domanda è, chi ha imparato di più? Chi ha visitato le otto montagne o chi ha raggiunto la vetta del Sumeru?

I due giovani erigono una baita lontana dal mondo, lasciata dal padre di Pietro (Filippo Timi). «La casa diventa carica di significat­o — dice Cognetti — la loro amicizia si fa costruendo­la, con le mani, il cuore della storia è lì. Il rifugio della loro amicizia». Che diventa un luogo dove mettere le radici, e resta lì ad aspettarti.

Pietro scoprirà l’amore, diventerà genitore, ma nulla fermerà la sua scalata, né la compagna né il figlio. È anche una storia sull’amore e la perdita, e su cosa significa essere amici per sempre. Cominciano estati e inverni di esplorazio­ni e di scoperte. La montagna come modo di respirare e di sapere, geografia mitologica, vertigine di sentimenti autentici. Un film sul destino, e questo vale anche per i due registi che dicono: «Nel primo lockdown siamo stati in crisi. Abbiamo deciso di sederci e scrivere. Come se adattare questa storia così pura avesse il potenziale di farci riavvicina­re. È stato così».

La neve e il freddo, ma se percorri sentieri stretti e aspri arrivi alla rugiada umida, al suono dei campanacci delle mucche sparpaglia­te sull’erba alta con gli occhi pieni di mosche, ai torrenti che formano cascatelle ai cui piedi le trote sfrecciano muovendo la coda. Un viaggio verso l’assoluto.

” I due registi

Un film epico raccontato da piccoli gesti, un’ode alla fragilità e alla forza di ogni essere vivente

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In vetta Alessandro Borghi (35 anni) e Luca Marinelli (37) in una scena di «Le otto montagne» di Van Groeningen e Vandermeer­sch

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