Gilles il folletto avrebbe potuto parlare il dialetto di qui
Gilles nell’arte. Gilles nei cimeli. Gilles nei musei. Non è soltanto a causa di un anniversario, seppure importante: 40 anni dalla morte, 8 maggio 1982. Nel momento in cui la nostra «Terra dei Motori», autoproclamatasi «Motor Valley», celebra se stessa, la sua straordinaria propensione motoristica, Villeneuve ricompare come un perfetto testimonial.
Ma sì lui, chi altro? Come un folletto, come un eterno ragazzino preso dalla propria passione, continua a percorrere quella terra da gas aperto che va dall’Emilia al mare romagnolo, dove molte tradizioni tipiche vengono preservate. Cosa importa se veniva dal Canada, neve, ghiaccio, motoslitte. Gilles avrebbe potuto parlare un dialetto dei loro, arrotato e musicale come le poesie di Raffaello Baldini, di Tonino Guerra. Fatto com’era di sfoglia, di una pasta votata alla velocità. Cuore, nervi, piede destro per farla fuori, sbalordire sui cento metri, cento chilometri, quello che vuoi, dove vuoi, pur di far fumare gomme larghe così. Piuttosto, un dare e un darsi a fondo perduto secondo generosità tipica dell’eroe che si batte e poi cade, secondo destino tragico, ampiamente preannunciato.
Aveva il fisico, un corpo minuto da adottare; portava in pista, addosso e dentro, una lealtà quasi infantile, trasportato dall’ ispirazione, da una fantasia che masticavano i ragazzi di allora, al pari dei ragazzi di oggi, tutti in corsa, in pista, aggrappati al motore.
La storia di questa «Valley» è fatta da uomini innamorati che a Gilles somigliavano o avrebbero voluto somigliare. Meccanica e carrozzeria, bielle, pistoni, scarichi spalancati. Una moltitudine di visioni sintomatiche per dare intensità permanente al mito più formidabile del Novecento. Velocità. Gioiosa e necessaria come il pane.
Non solo. La storia di Villeneuve fu un’invenzione di Enzo Ferrari, il Grande Padre di tutti noi, conquistati dal suo sogno. E non pare strano affatto che proprio ora Gilles ri prenda a correre mentre il Cavallino riprende a vincere. Abbastanza per rivitalizzare un’affezione fonda e sempre pronta, un orgoglio che dall’Emilia ha contagiato il mondo. Il rosso come stendardo alternativo al tricolore, quel godimento da domenica che collega in un attimo le evoluzioni adrenaliniche di Villeneuve al furore elettronico di Leclerc.
I due non si somigliano per niente, Ettore e Achille, viene da dire, osservandoli vicini. Hanno compiti analoghi se pensiamo al romanticismo come alla benzina più potente disponibile per correre, noi con loro, contro avversari sportivi e avversità spaventose in circolazione da mesi e prima ancora da anni.
C’è una sofferenza, ecco, che li accomuna, oltre al colore della tuta che pure fa una enorme differenza rispetto a chi indossa altro. Ciò che rende memorabile ogni trionfo, che stressa l’attesa, che fortifica il tifo. La speranza sottile di un godimento precario eppure, proprio per questo, impagabile.
Spirito e generosità Meccanica, bielle, pistoni e scarichi spalancati: questa terra è come lui, votata alla velocità