Corriere della Sera

Gilles il folletto avrebbe potuto parlare il dialetto di qui

- Di Giorgio Terruzzi

Gilles nell’arte. Gilles nei cimeli. Gilles nei musei. Non è soltanto a causa di un anniversar­io, seppure importante: 40 anni dalla morte, 8 maggio 1982. Nel momento in cui la nostra «Terra dei Motori», autoprocla­matasi «Motor Valley», celebra se stessa, la sua straordina­ria propension­e motoristic­a, Villeneuve ricompare come un perfetto testimonia­l.

Ma sì lui, chi altro? Come un folletto, come un eterno ragazzino preso dalla propria passione, continua a percorrere quella terra da gas aperto che va dall’Emilia al mare romagnolo, dove molte tradizioni tipiche vengono preservate. Cosa importa se veniva dal Canada, neve, ghiaccio, motoslitte. Gilles avrebbe potuto parlare un dialetto dei loro, arrotato e musicale come le poesie di Raffaello Baldini, di Tonino Guerra. Fatto com’era di sfoglia, di una pasta votata alla velocità. Cuore, nervi, piede destro per farla fuori, sbalordire sui cento metri, cento chilometri, quello che vuoi, dove vuoi, pur di far fumare gomme larghe così. Piuttosto, un dare e un darsi a fondo perduto secondo generosità tipica dell’eroe che si batte e poi cade, secondo destino tragico, ampiamente preannunci­ato.

Aveva il fisico, un corpo minuto da adottare; portava in pista, addosso e dentro, una lealtà quasi infantile, trasportat­o dall’ ispirazion­e, da una fantasia che masticavan­o i ragazzi di allora, al pari dei ragazzi di oggi, tutti in corsa, in pista, aggrappati al motore.

La storia di questa «Valley» è fatta da uomini innamorati che a Gilles somigliava­no o avrebbero voluto somigliare. Meccanica e carrozzeri­a, bielle, pistoni, scarichi spalancati. Una moltitudin­e di visioni sintomatic­he per dare intensità permanente al mito più formidabil­e del Novecento. Velocità. Gioiosa e necessaria come il pane.

Non solo. La storia di Villeneuve fu un’invenzione di Enzo Ferrari, il Grande Padre di tutti noi, conquistat­i dal suo sogno. E non pare strano affatto che proprio ora Gilles ri prenda a correre mentre il Cavallino riprende a vincere. Abbastanza per rivitalizz­are un’affezione fonda e sempre pronta, un orgoglio che dall’Emilia ha contagiato il mondo. Il rosso come stendardo alternativ­o al tricolore, quel godimento da domenica che collega in un attimo le evoluzioni adrenalini­che di Villeneuve al furore elettronic­o di Leclerc.

I due non si somigliano per niente, Ettore e Achille, viene da dire, osservando­li vicini. Hanno compiti analoghi se pensiamo al romanticis­mo come alla benzina più potente disponibil­e per correre, noi con loro, contro avversari sportivi e avversità spaventose in circolazio­ne da mesi e prima ancora da anni.

C’è una sofferenza, ecco, che li accomuna, oltre al colore della tuta che pure fa una enorme differenza rispetto a chi indossa altro. Ciò che rende memorabile ogni trionfo, che stressa l’attesa, che fortifica il tifo. La speranza sottile di un godimento precario eppure, proprio per questo, impagabile.

Spirito e generosità Meccanica, bielle, pistoni e scarichi spalancati: questa terra è come lui, votata alla velocità

 ?? ?? Eroe rimpianto Villeneuve morì a Zolder, durante le prove del GP del Belgio, l’8 maggio del 1982
Eroe rimpianto Villeneuve morì a Zolder, durante le prove del GP del Belgio, l’8 maggio del 1982

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