Corriere della Sera

La versatilit­à di Alberto la via per il nostro ciclismo

- di Marco Bonarrigo

REGGIO EMILIA «Al basket ho rubato l’esplosivit­à sviluppata saltando a canestro, alla mountain bike le doti di equilibrio, agli anni trascorsi in un team giovanile italiano (la Trevigiani, ndr) le basi del mestiere. In trasferta con la Nazionale di Marino Amadori ho capito lo spirito di corpo, tra i dilettanti olandesi cosa significa correre ad alto livello con gente più forte di te. Non credo che esista un percorso unico per diventare un buon ciclista profession­ista, bisogna imparare dappertutt­o senza buttar via nulla». Alberto Dainese — il primo under 25 azzurro a vincere una tappa del Giro dal 2016, quando ci riuscì Giulio Ciccone — traccia il suo percorso per trascinare il nostro ciclismo fuori dalla crisi: abbeverars­i a tutte le fonti e senza paura di emigrare da giovanissi­mo come ha fatto lui. La situazione nazionale è drammatica: dei profession­isti italiani attivi, uno soltanto dei primi 150 del ranking internazio­nale (Filippo Zana) è tesserato con un team tricolore. Gli altri sono emigrati. Se vuoi fare il ciclista sul serio devi partire già a vent’anni, come Dainese. Non più da Sicilia e Sardegna verso Toscana o Lombardia come fecero Nibali e Aru, ma dall’Italia all’Olanda o al Belgio: la Toscana che vent’anni fa portava 15 corridori al Giro oggi schiera solo Diego Ulissi. Le nostre squadre sono piccole e miopi e la multidisci­plinarietà guardata ancora con sospetto anche in tempi in cui Van der Poel, Van Aert, Pidcock o Evenepoel mescolano strada, mountain bike, cross e addirittur­a atletica e calcio fin da bambini. I team italiani selezionan­o ragazzi nati e cresciuti sull’asfalto, i loro (modesti) sponsor preferisco­no la vittoria nella corsetta nostrana alla difficile trasferta in Belgio, Olanda o Francia che fa esperienza e curriculum senza risultati immediati. E la scelta fa comodo ai team manager che risparmian­o i soldi del viaggio e se li tengono o li investono per tenere in vita un ciclo che non produce più campioni. Ci sono eccezioni come il Team Friuli dei super talenti Aleotti e Milan che fa trottare i suoi pupilli per tutta Europa (con lunghe trasferte in bus) a confrontar­si con i migliori e il «laboratori­o Nazionale» che grazie all’impulso di Davide Cassani (pronto a mettersi in proprio con un progetto di club) ha investito in trasferte e formazione. Si attendono risultati dalla Eolo-Kometa, il gruppo italo-spagnolo di Ivan Basso al momento pare più capace sul fronte della comunicazi­one che su quello dei risultati. Ma ci vuole pazienza: per ricostruir­e un modello vincente ci vogliono anni. Al centro di tutto dovrà esserci un grande team italiano. Un giovane talento che corre all’estero difficilme­nte diventerà faro del movimento (come invece fu Nibali alla Liquigas, com’è Van der Poel per gli olandesi) e rischia che le sue doti vengano messe al servizio (ben pagate) di un fuoriclass­e della nazione che lo ospita.

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(LaPresse, Afp) Modelli Vincenzo Nibali si ritirerà a fine stagione; a destra Giulio Ciccone: come Dainese vinse una tappa del Giro da U25
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