Indennizzi, deroghe e la scadenza del 2023 Il lungo scontro sul «dossier balneari»
ROMA Il nodo sta tutto nell’emendamento 2-bis all’articolo 2 del disegno di legge numero 2469, meglio noto come il ddl Concorrenza, presentato dal governo lo scorso febbraio: «Disposizioni sull’efficacia delle concessioni demaniali e dei rapporti di gestione per finalità turisticoricreative». E in quella data messa nero su bianco: «Efficacia fino al 31 dicembre 2023». Una data fissata dal Consiglio di Stato lo scorso novembre con due sentenze che hanno anticipato di 10 anni la scadenza delle concessioni di lidi e spiagge italiane, annullando la proroga (l’ennesima) al 2033 decisa nel 2019. In mezzo ci sono 30 mila imprese balneari (e migliaia di lavoratori) che da anni attendono di conoscere il proprio destino e l’Unione europea che più volte ha richiamato l’Italia per il mancato rispetto del principio di concorrenza.
Ma la partita del ddl numero 2469 gira tutta lì, su quella data che segna l’avvio della messa a gara delle concessioni marittime, di laghi e fiumi e quell’emendamento del governo che delega l’esecutivo ad adottare entro 6 mesi decreti legislativi per riordinare l’intero settore attraverso una
«mappatura» della situazione esistente, definendo i criteri per l’affidamento delle concessioni e aggiornando i canoni, ora in alcuni casi molto bassi. L’emendamento del governo ha ricevuto 226 subemendamenti e la difficoltà nel trovare un accordo tra le forze di maggioranza è tale che in commissione Industria al Senato la discussione dell’intero ddl prevista questa settimana non è ancora mai partita, nonostante sugli altri articoli l’intesa invece ci sia già.
La deroga
Lega e Forza Italia vorrebbero una deroga a quel 31 dicembre 2023 che metterebbe in difficoltà tutti gli imprenditori (i piccoli soprattutto) e anche i Comuni che, secondo i due partiti, rischiano di non essere pronti a preparare le gare. «L’obiettivo è tutelare 30 mila piccole aziende e 100mila lavoratori — dicono i capigruppo al Senato Massimiliano Romeo e Anna Maria Bernini —: vogliamo far crescere il Paese ma non sulla pelle di famiglie che da anni si prendono cura del nostro mare». Ma «c’è una sentenza» e da quella non si può prescindere, su questo Palazzo Chigi non vuole passi indietro. Anche perché, spiega Stefano Collina, senatore del Pd e relatore con Paolo Ripamonti (Lega) del testo in commissione, «senza un accordo, non vorrei che rimanesse solo la sentenza che decide che dal primo gennaio 2024 tutte le concessioni vanno a gara: sarebbe un bel problema». Meglio «trovare una sintesi — spiega Collina —: ormai siamo arrivati ad un buon punto nel lavoro di approfondimento, ci sono le condizioni per arrivare a quello che chiede il premier Mario Draghi e trovare una soluzione soddisfacente». L’idea è di arrivare all’appuntamento di martedì prossimo in commissione Industria con l’intesa definitiva e cominciare finalmente le votazioni.
Gli indennizzi
Sembra infatti superata la questione indennizzi che nei giorni scorsi aveva agitato soprattutto il centrodestra. L’accordo prevede una sorta di risarcimento per l’imprenditore balneare in caso di perdita della concessione commisurato al valore economico dell’ impresa: sarebbe a carico dell’impresa subentrante e includerebbe gli investimenti fatti e l’avviamento di azienda. Lega e Forza Italia chiedono una valutazione dell’azienda fatta da un professionista abilitato e su tutto «il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa». Ma il tempo stringe. Il capogruppo FI alla Camera Paolo Barelli è ottimista: «La questione si risolve con la buona volontà di tutti». E il ministro del Turismo Massimo Garavaglia avverte: «Se non si chiude, si torna al testo base: ma trovare una sintesi e dopo 20 anni che il settore è in difficoltà arrivare finalmente ad un quadro certo è un beneficio per tutti».