Il giallo del comandante «Sono dentro Azovstal, c’è un’operazione in corso»
Secondo i russi 1.700 si sono arresi e sono stati catturati. Ieri era circolata la voce che il numero due dei resistenti fosse uscito, poi in serata il messaggio
ZAPORIZHZHIA Mykhailo Podolyak, capo della delegazione del presidente Zelensky, li ha paragonati agli spartani alle Termopili. Per i russi sono nazisti che vanno giudicati come criminali di guerra. Per la Croce Rossa internazionale sono o saranno prigionieri di guerra. In prima pagina sui giornali di tutto il mondo, gli irriducibili dell’Azov, il battaglione simbolo del nazionalismo ucraino formato nel 2014 come milizia volontaria per combattere le forze sostenute dalla Russia nel Donbass, poi integrati nei ranghi dell’esercito. In oltre 1.700 secondo i russi si sono già arresi. Ma tutt’altro che chiara è la sorte dei leader del battaglione.
Il numero due
Si inizia dal numero due. Nella mattinata di ieri veniva dato come già fuori anche dai media ucraini dalle 21 di mercoledì sera. Poi in serata appare in un video in cui smentisce: «Oggi è l’85esimo giorno di guerra, il comando è ancora dentro il territorio dell’Azovstal, c’è una operazione continua, ci sono dettagli che non posso rivelare. Ci vediamo presto». Un mistero, dunque che rende bene l’idea di quanto sia complicata la trattativa per il rilascio.
Vero nome, Sviatoslav Palamar. Il 5 maggio in un videomessaggio alla madre diceva: «È difficile, mamma. Ma dobbiamo salvare le persone e seppellire i nostri fratelli con onore». Originario di Mykolaiv — ma un’altra Mykolaiv che si trova nell’Oblast di Leopoli, a Ovest — Kalyna è sempre stato un fervente nazionalista e difensore della patria. «Fin da piccolo giocava alla guerra», racconta ancora la madre. Dopo Maidan, Svyatoslav, nel 2014, si arruola con l’Azov, allora milizia irregolare, e parte per la guerra. Avanti veloce fino all’inizio di quest’anno. Kalyna, nel mentre, si è sposato con Tonia, originaria di Dnipro, dopo che i due si sono conosciuti a Leopoli. Il 16 gennaio, quando parte con il suo reggimento, lei lo segue a Mariupol, con il figlio Lukyanchik, che ora ha cinque anni. Un bambino che — racconta ancora la nonna — viene allevato in modo patriottico e che dice «Gloria all’Ucraina» ad ogni posto di blocco.
Poi il 22 febbraio, due giorni prima che inizi la guerra, Kalyna li sposta in una località segreta per metterli in salvo. E lui si prepara a combattere. Durante i giorni dell’assedio alla madre manda pochi messaggi. «Siamo pelle e ossa, ma resistiamo, lottiamo, non ci arrendiamo. Abbiamo solo fucili mitragliatori e risparmiamo ogni cartuccia», le scrive. «Il cibo lo teniamo per i bambini». Così per due mesi. Pochi giorni fa in un appello chiedeva di fare più prigionieri russi possibile, richiesta che evidentemente già lasciava intendere come Kalyna e i suoi uomini siano consapevoli del loro destino. L’ultimo videomessaggio del numero uno, Denis Prokopenko, risale invece a lunedì quando con il volto scavato e la barba lunga comunica con un giro di parole la decisione di obbedire all’ordine di evacuazione del reggimento. Trent’anni, il comandante Redis — il suo soprannome di quando era un ultrà della Dinamo Kiev che l’ha accompagnato nella ricerca della gloria militare — un tempo studente di filologia germanica all’università di Kiev e oggi medaglia dell’Ordine della Croce d’oro per diretta concessione del presidente Zelensky, è forse la preda più ambita della macchina della propaganda di Mosca.
La famiglia
Nipote di soldati, suo nonno, originario della Carelia, fu l’unico della famiglia a sopravvivere quando l’Urss invase la Finlandia nella guerra d’inverno russo-finlandese del 1939-40. «Sembra che io abbia continuato la stessa guerra, solo su un’altra parte del fronte, una guerra contro il regime di occupazione del Cremlino. Mio nonno aveva un odio così grande per il comunismo, per il bolscevismo, per i sovietici. Riesci a immaginare com’è perdere la tua famiglia?», ha raccontato lui stesso. Mancano all’appello, il capo dell’intelligence Ilya Samoilenko, detto Cyborg per il braccio in titanio e l’occhio di vetro, e il maggiore-padre di famiglia Serhiy Volyna, la faccia dell’esercito tradizionale finito a Mariupol con gli intrepidi dell’Azov. Altri nomi che l’Ucraina non vuole certo siano dimenticati.