E Zelensky rievoca il genocidio dei tatari
Ricordatevi dei tatari. Zelensky parla d’un genocidio del passato, per leggere il futuro: se in questo maggio vi chiedete come verranno trattati i soldati di Azov usciti dall’acciaieria di Mariupol, è il senso d’un suo post su Telegram, non dimenticate che cosa fu il maggio del 1944. In quell’anno 200 mila tatari della Crimea vennero fucilati o deportati da Stalin in Uzbekistan, in Kazakistan, in Tagikistan e in tutti quegli «stan» che diventarono il loro lager e il loro esilio perenne. «I carnefici d’allora erano convinti che nessuno degli sfollati sarebbe tornato a casa — dice il presidente ucraino —. I carnefici di oggi, cercando d’occupare l’Ucraina e di distruggere le nostre vite, erano convinti che loro avrebbero vinto e noi non saremmo sopravvissuti. Invece siamo sopravvissuti». Il genocidio tataro è uno dei capitoli meno conosciuti della storia ucraina. Eredità ottomana, musulmani soft, tradizione di non violenza, patirono sotto l’Urss: il 46% della popolazione fu sterminato, distrutti monumenti e cimiteri, i nomi geografici tatari furono sostituiti con quelli russi. Piano piano, i tatari riuscirono a tornare in Crimea, finché nel 2014 non arrivò Putin, costringendo molti di loro a scappare di nuovo. Chi non l’ha fatto è finito in galera: un centinaio d’intellettuali e politici sono detenuti in Crimea, gli altri nei gulag. Dal 2018, alla Corte penale dell’Aja, è depositato un memorandum di 29 volumi: denuncia migliaia di casi di persecuzione e tortura della minoranza tatara. Sta negli scaffali, dimenticato.