La scheggia di una bomba e la zia morta per soccorrerlo
Una maglietta bianca con la scritta «Grrr». Di fianco, la sorella che abbraccia il papà. Dietro, la mamma e lo zio. Quel che resta della vita di Arseniy, «Senya» per tutti, è custodito solo su Facebook. Il 3 marzo, quando infuriavano i combattimenti intorno a Kiev, è cominciato anche il tiro al bersaglio dei russi su Zagaltsy. Senya aveva fatto una corsa — a 14 anni, era il più veloce della squadretta di calcio del paese —, ma le bombe erano troppe: una scheggia l’ha colpito alla testa. Senya è rimasto in agonia due ore, a dissanguarsi. Nessuno poteva recuperarlo, perché i russi sparavano su chiunque s’avvicinasse. A un certo punto, ce l’ha fatta Marina Kalabina, la zia, che di professione era un’anestesista e voleva provare almeno a rianimarlo: una sgommata, una frenata, la fatica di trascinare il ragazzino quasi morto nella sua auto. Hanno tirato anche su di lei. L’hanno ammazzata sul colpo. I corpi di Senya e di sua zia Marina sono rimasti sull’asfalto per giorni, prima che qualcuno potesse finalmente raccoglierli. Vicino a loro, poche centinaia di metri, c’era l’asilo dove Senya andava da piccolo: non esiste più, bruciato nella guerra come la vita del piccolo calciatore.