«Ci hanno detto buona fortuna e hanno sparato su mio figlio»
Il funerale di Yelisey Ryabokon, 13 anni, è stato terribile. Suo papà, Yevgeny, abbracciava la bara bianca e la foto incorniciata d’un ragazzo sorridente: cercava di dire qualcosa, ma la voce non usciva. Yelisey era di Peremoga, un paesino vicino a Kiev: «Quel giorno — racconta la mamma, Inna — i russi ci avevano dato il permesso d’andarcene. Ci avevano perfino salutato e augurato buona fortuna. Ma quando abbiamo formato una colonna di cinque auto e attraversato i campi, per raggiungere la strada, hanno cominciato a spararci addosso da tutti i lati». Yelisey era sulla seconda macchina, traforata dai proiettili, e lì sopra non s’è salvato nessuno. «Ho strisciato lungo i campi — dice Inna — e sono riuscita a recuperare solo l’altro figlio, il più piccolo che ha tre anni, tirandolo fuori dall’auto per il cappuccio della giacca». Il luogo dov’è stato ucciso Yelisey è nelle campagne di Brovary, alle porte di Kiev, uno dei paesi più martoriati. Impossibile per chiunque, raggiungere quel campo: il ragazzo è morto l’11 marzo, ma c’è voluto un mese per organizzargli il funerale. «Vivo solo per l’altro figlio — dice Inna — E perché qualcuno paghi per tutto questo».