PARTITI, LA DUPLICE CONVULSIONE
Il premier ha convocato con urgenza e senza preavviso un Consiglio dei ministri, durato appena dieci minuti: abbastanza, tuttavia, per mandare una sorta di ultimatum ai partiti perché sblocchino provvedimenti fermi da mesi alle Camere. Entro maggio vanno approvati, anche ricorrendo alla fiducia.
È il segno di un’accelerazione che si aggiunge a quella sulla politica estera. E di una doppia sofferenza e insofferenza di Palazzo Chigi. Draghi deve affrontare in parallelo le convulsioni grilline e leghiste sull’aggressione russa all’Ucraina, e le resistenze e i veti tra i partiti che minacciano di mettere in forse l’intero piano di aiuti europei. Chiamare a raccolta una coalizione resa ancora più litigiosa dalle scadenze elettorali è un modo per metterla di fronte alle proprie responsabilità; e di far capire che la mediazione non può diventare impotenza, né trascurare una tabella di marcia che si sta rivelando pericolosamente inadeguata.
Su questo sfondo, le polemiche pretestuose sugli aiuti militari all’Ucraina appaiono ancora meno giustificate. E l’aspetto singolare è l’atteggiamento delle formazioni di maggioranza più ostili all’invio di altre armi e all’aggiunta di sanzioni contro l’aggressione militare: Lega e M5S. Il «grazie» rivolto a Draghi dal leader del Carroccio, Matteo Salvini «per le parole di pace» tradisce il tentativo un po’ goffo di piegare la strategia di Palazzo Chigi a una narrativa salviniana considerata da molti filorussa. Quanto ai Cinque Stelle, hanno rinnovato la richiesta di un voto del Parlamento, di fatto rifiutando l’impostazione che Draghi persegue in base al mandato ricevuto a marzo.
Giuseppe Conte, che non è un parlamentare, nega qualunque intenzione di logorare il governo o addirittura accarezzare una crisi. Sa che la sconfitta nella partita della presidenza della Commissione esteri al Senato, vinta da uno schieramento che ha scelto la berlusconiana Stefania Craxi contro il candidato grillino, ha mostrato tutta la debolezza della leadership di Conte; e confermato il prezzo che l’ambiguità sul conflitto causato da Vladimir Putin sta facendo pagare al Movimento, privo di candidature e strategie credibili. Ma c’è qualcosa di più. Nell’atteggiamento irritato e insieme quasi rassegnato di Conte si indovina la consapevolezza che il problema non è solo il conflitto con Draghi.
Il tentativo di accentuare le tensioni con l’esecutivo è frenato dai malumori di un M5S critico con la leadership dell’ex premier. Per questo, nonostante il sogno di uscire dalla maggioranza di un «cerchio magico» grillino, Conte non può ignorare il «no» al voto anticipato di un gruppo parlamentare che rischia di ridursi a un quinto dopo le elezioni. Il risultato, tuttavia, è un’accentuazione del profilo ambiguo delle forze populiste sul piano internazionale: per il modo in cui si oppongono alle riforme economiche chieste dall’Europa, e per gli sbandamenti che favoriscono la propaganda russa sull’Ucraina. È un comportamento destinato a ipotecare negativamente il loro ruolo anche futuro di governanti.
Singolare è l’atteggiamento delle forze più ostili all’invio di armi e a nuove sanzioni contro la Russia: Lega e M5S