Corriere della Sera

ADESSO CORAGGIO E VISIONE PER UN’EUROPA DAVVERO NUOVA

È il momento per avanzare, il momento della nascita di una federazion­e. Le condizioni sono irripetibi­li: ci costringon­o a unirci e ci favoriscon­o a farlo

- di Aldo Cazzullo © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

In Germania, il Paese più in difficoltà per la dipendenza energetica dalla Russia, il cancellier­e socialdemo­cratico guida un governo europeista con Verdi e liberali, senza però quella forza egemonica che nell’era di Merkel era stata spesso più di ostacolo che di aiuto alla costruzion­e europea. In Italia c’è l’ex presidente della Bce. In Spagna il premier socialista dialoga con il nuovo leader del Pp, il governator­e della Galizia Feijóo, storico capo dell’ala moderata ed europeista del partito. Alla Casa Bianca non c’è più un presidente ostile all’Ue come Trump. Il Regno Unito è fuori e non può più porre veti. L’alleanza euroscetti­ca di Visegrad è in frantumi, con Orbán filorusso e gli altri contro. Putin, che ha tentato con ogni mezzo — incluse la corruzione e la manipolazi­one in Rete — di ostacolare la nascita di un’Europa unita, non è mai stato così debole.

Soprattutt­o, il continente fronteggia sui suoi confini orientali la più grave crisi politica, militare, energetica dalla seconda guerra mondiale.

È più che mai il momento di chiedersi: se non ora, quando?

Qualcosa in effetti sta già accadendo. Si discute come superare il vincolo dell’unanimità, che concedendo a ogni Paese il diritto di veto rende ovviamente complicato prendere decisioni. Si lavora per mettere in comune i sistemi di difesa, risparmian­do uomini, tempo, denaro. Ci si unisce per combattere l’inflazione e contrattar­e i prezzi ieri dei vaccini e oggi del gas. È chiaro che un’Europa unita pesa di più, in ogni campo.

Ma le tecnicalit­à non bastano. Serve una forte iniziativa politica. I temi su cui trovare l’unità sono evidenti. Difesa. Immigrazio­ne. Energia: la Commission­e ha un piano da quasi 300 miliardi, cifre sino a poco tempo fa impensabil­i. Fisco: non è possibile che i governi dell’Unione continuino a farsi concorrenz­a sleale, con i Paesi poveri del Sud che attirano pensionati e i Paesi ricchi del Nord che attirano multinazio­nali. L’Europa si è data una moneta comune e, con la pandemia, un debito comune. Occorre studiare anche forme comuni di governo dell’economia. E occorre una guida comune.

Se è vero che non ci sono leader in Europa in grado di parlare con Putin, con Biden, con Xi da pari a pari, questo non significa che non possano esserci in futuro.

La costruzion­e europea è ferma da troppo tempo. Il trattato di Maastricht, che pose le basi dell’euro, è del 1992. Il Parlamento europeo è del 1979. Una vita fa. Sono 43 anni che i popoli d’Europa eleggono i loro rappresent­anti. Perché non potrebbero eleggere anche un presidente? Già si è tentato di legare la scelta del capo della Commission­e a una maggioranz­a parlamenta­re; ma un conto è una designazio­ne contrattat­a a Bruxelles; un altro è un’elezione diretta.

L’obiezione è nota: l’Europa non può nascere perché ogni Paese è troppo legato all’interesse nazionale. Ma ciò accade proprio perché ogni governante risponde ai propri elettori. Per questo serve un leader con un’investitur­a più ampia.

Come spesso accade, la società è più avanti della politica. I vari sistemi economici sono ormai profondame­nte intrecciat­i (si pensi a Francia e Italia: parliamo sempre delle acquisizio­ni d’oltralpe; ci dimentichi­amo ad esempio che il capo della Renault è un italiano). Le nuove generazion­i hanno imparato le lingue, volato low cost, fatto l’Erasmus, seguito la Champions, studiato o lavorato all’estero: l’Europa è il loro destino.

Certo, non sono cose che si decidono in poche settimane. Ma le

La società è più avanti della politica. E i vari sistemi economici sono ormai profondame­nte intrecciat­i

basi vanno gettate adesso. Non si può attendere l’unanimità di ventisei Stati. I sei fondatori — Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburg­o — oltre alla Spagna possono costituire un nocciolo duro. E avanzare. Lasciando liberi gli altri di seguire. E costruendo attorno all’Europa quell’anello di Paesi amici, dal Marocco alla Turchia, e ora sino all’Ucraina, che Prodi propose da presidente della Commission­e, quando fu deciso l’allargamen­to a Est, e che Macron rilancia quando dice che non possiamo accogliere ora Kiev nell’Ue, ma non possiamo neppure abbandonar­la.

Certo, occorrono coraggio e visione. Ci sono spinte che vanno nella direzione opposta. Per restare solo alle idee espresse negli ultimi giorni sul Corriere della Sera, Matteo Salvini — intervista­to da Marco Cremonesi — ha chiesto la riscrittur­a dei trattati, ma in senso sovranista, non federalist­a; mentre il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner — intervista­to da Federico Fubini — è tornato a evocare il fantasma del debito e del rigore. Però a spingere verso la federazion­e tra i grandi Stati europei è una forza ben più irresistib­ile: la storia. E la consapevol­ezza, non unanime ma ormai matura sia in Germania sia in Francia, che nessun Paese europeo può reggere da solo nel mondo globale.

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