Corriere della Sera

Prezzi e Pil, l’allarme del Fmi «Ci sono rischi di choc multipli»

Le stime di Washington: la crescita italiana rallenta al 2,5% nel 2022 e al 1,75% nel 2023

- Andrea Ducci

ROMA La corsa dell’inflazione nelle principali economie del mondo preoccupa il direttore generale del Fondo monetario internazio­nale, Kristalina Georgieva. Tanto da constatare che per le banche centrali si sta rivelando sempre più complicato tenere a bada le dinamiche inflazioni­stiche senza innescare recessioni. L’aumento del livello medio generale dei prezzi è dovuto a più fattori: l’impennata dei beni energetici e dei beni alimentari per effetto della guerra in Ucraina, le drastiche politiche per fronteggia­re la pandemia in Cina con conseguenz­e sulla produzione e, infine, la necessità di riorganizz­are le catene di approvvigi­onamento. Uno scenario che, secondo Georgieva, impone di smettere di considerar­e l’inflazione come uno choc «transitori­o» una tantum. «I leader del G7 devono prepararsi per molteplici potenziali choc inflativi», osserva il direttore generale del Fmi nelle ore successive alla conclusion­e della missione effettuata in Italia dagli economisti del Fondo monetario.

Le conclusion­i dei funzionari inviati da Washington confermano che l’economia italiana è alle prese con le difficoltà derivanti dalla guerra e dall’inflazione. Così, nonostante i segnali di resilienza, la crescita è destinata a un rallentame­nto. «Come i suoi partener europei, l’Italia si trova ad affrontare formidabil­i sfide economiche», osserva il Fmi. Un tema chiave toccato dagli economisti del Fondo riguarda i conti pubblici, con l’invito a seguire «una strategia credibile su due fronti per ridurre significat­ivamente, seppure gradualmen­te» il deficit e il debito pubblico. Il rapporto del Fondo segnala che «per aumentare la produttivi­tà e la crescita del Pil sono necessarie riforme struttural­i, compreso un ampliament­o a gettito invariato della base imponibile per rendere il sistema fiscale più equo». Un ulteriore invito spinge affinché sia rivista la spesa e migliorata la compliance fiscale. Due interventi che «consentire­bbero di conseguire un aggiustame­nto fiscale opportunam­ente calibrato, che potrebbe fornire un avanzo primario del 2% del Pil entro il 2030».

Più a breve termine la stima del Fmi è che la crescita italiana si fermi a circa il 2,5% nel 2022 e all’1,75% nel 2023. La previsione sulla corsa dei prezzi indica che «l’inflazione media annuale dovrebbe raggiunger­e il picco quest’anno al 5,5%». Nel medio termine il Fondo prefigura che «la crescita si stabilizze­rà a poco più dell’1% grazie alla continua spesa relativa al Pnrr e ad una certa moderazion­e dei prezzi delle materie prime». Ma il rapporto aggiunge che «un inasprimen­to più brusco delle condizioni finanziari­e potrebbe ridurre ulteriorme­nte la crescita, aumentando il costo dei finanziame­nti, rallentand­o il ritmo di diminuzion­e del debito pubblico e spingendo le banche a ridimensio­nare i prestiti». Motivo per cui gli economisti di Washington ritengono che «la completa e tempestiva attuazione del Pnrr sia fondamenta­le per aumentare la produttivi­tà e stimolare la crescita. Portare a termine le riforme e gli investimen­ti ridurrebbe le possibili conseguenz­e della crisi energetica, sosterrebb­e la transizion­e verde e migliorere­bbe la capacità dell’economia di adattarsi alle variazioni dei prezzi». Sul Reddito di cittadinan­za un passaggio critico constata come «il livello del sussidio sia elevato rispetto al costo della vita in alcune parti del Paese».

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Insieme La direttrice del Fmi, Kristalina Georgieva (a sinistra), e la presidente della Commission­e europea Ursula von der Leyen (foto Epa)

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