Prezzi e Pil, l’allarme del Fmi «Ci sono rischi di choc multipli»
Le stime di Washington: la crescita italiana rallenta al 2,5% nel 2022 e al 1,75% nel 2023
ROMA La corsa dell’inflazione nelle principali economie del mondo preoccupa il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva. Tanto da constatare che per le banche centrali si sta rivelando sempre più complicato tenere a bada le dinamiche inflazionistiche senza innescare recessioni. L’aumento del livello medio generale dei prezzi è dovuto a più fattori: l’impennata dei beni energetici e dei beni alimentari per effetto della guerra in Ucraina, le drastiche politiche per fronteggiare la pandemia in Cina con conseguenze sulla produzione e, infine, la necessità di riorganizzare le catene di approvvigionamento. Uno scenario che, secondo Georgieva, impone di smettere di considerare l’inflazione come uno choc «transitorio» una tantum. «I leader del G7 devono prepararsi per molteplici potenziali choc inflativi», osserva il direttore generale del Fmi nelle ore successive alla conclusione della missione effettuata in Italia dagli economisti del Fondo monetario.
Le conclusioni dei funzionari inviati da Washington confermano che l’economia italiana è alle prese con le difficoltà derivanti dalla guerra e dall’inflazione. Così, nonostante i segnali di resilienza, la crescita è destinata a un rallentamento. «Come i suoi partener europei, l’Italia si trova ad affrontare formidabili sfide economiche», osserva il Fmi. Un tema chiave toccato dagli economisti del Fondo riguarda i conti pubblici, con l’invito a seguire «una strategia credibile su due fronti per ridurre significativamente, seppure gradualmente» il deficit e il debito pubblico. Il rapporto del Fondo segnala che «per aumentare la produttività e la crescita del Pil sono necessarie riforme strutturali, compreso un ampliamento a gettito invariato della base imponibile per rendere il sistema fiscale più equo». Un ulteriore invito spinge affinché sia rivista la spesa e migliorata la compliance fiscale. Due interventi che «consentirebbero di conseguire un aggiustamento fiscale opportunamente calibrato, che potrebbe fornire un avanzo primario del 2% del Pil entro il 2030».
Più a breve termine la stima del Fmi è che la crescita italiana si fermi a circa il 2,5% nel 2022 e all’1,75% nel 2023. La previsione sulla corsa dei prezzi indica che «l’inflazione media annuale dovrebbe raggiungere il picco quest’anno al 5,5%». Nel medio termine il Fondo prefigura che «la crescita si stabilizzerà a poco più dell’1% grazie alla continua spesa relativa al Pnrr e ad una certa moderazione dei prezzi delle materie prime». Ma il rapporto aggiunge che «un inasprimento più brusco delle condizioni finanziarie potrebbe ridurre ulteriormente la crescita, aumentando il costo dei finanziamenti, rallentando il ritmo di diminuzione del debito pubblico e spingendo le banche a ridimensionare i prestiti». Motivo per cui gli economisti di Washington ritengono che «la completa e tempestiva attuazione del Pnrr sia fondamentale per aumentare la produttività e stimolare la crescita. Portare a termine le riforme e gli investimenti ridurrebbe le possibili conseguenze della crisi energetica, sosterrebbe la transizione verde e migliorerebbe la capacità dell’economia di adattarsi alle variazioni dei prezzi». Sul Reddito di cittadinanza un passaggio critico constata come «il livello del sussidio sia elevato rispetto al costo della vita in alcune parti del Paese».